Fatta in fretta e senza soldi. Con l’idrovora del contrasto al caro-bollette a spazzolare quei pochi denari gettati sul tavolo. Questa volta le attenuanti, almeno quelle generali, ci sono tutte.
Eppure, la Manovra di fine anno, al netto degli strafalcioni, dei 44 errori sottolineati dalla Ragioneria, della bagarre con le opposizioni, dell’occupazione, anzi «okkupazione», della Commissione Bilancio, un po’ di peccati originali se li porta dietro. Uno su tutti: aver drenato tutte le migliori energie del Paese, anche solo a livello di dibattito, esaurendole in una corrida infinita, e poco appassionante, su Pos, contanti e cinghiali. Temi - soprattutto primi due, ma anche il terzo non scherza - tendenzialmente irrilevanti o comunque non urgenti. E, altro dettaglio, non paracadutati da nessun episodio di cronaca, ma solo da una volontà scientifica di riportarli al centro della scena. Qualcuno ha etichettato la mossa come un’arma di distrazione di massa, una furba serie di micce polemiche accese a favor di circo mediatico. Forse sì, forse no.
Di certo, sarebbe stato più utile porsi un’altra domanda: che fine ha fatto il Mezzogiorno? Non è corretto affermare, come il leader della Cgil, Maurizio Landini, che il Sud in Manovra sia del tutto «assente». In realtà c’è e pesa circa 1,6 miliardi su un totale approssimativo di 35. In quella cifra, assai esigua, finanziata attingendo al Fondo Sviluppo e Coesione, figurano gli incentivi per gli investimenti effettuati nelle Zone economiche speciali e le aliquote agevolate per il credito d’imposta a vantaggio delle imprese di stanza al Sud. Una doppia iniziativa che si muove in continuità obbligata con provvedimenti precedenti e sostanzialmente al traino del Pnrr. Tutto molto scontato. E tuttavia, per quanto la parola Sud non compaia effettivamente da nessuna parte (sempre Landini dixit), qualcosa c’è. Con corollario annesso: di più non si poteva fare perché i soldi sono pochi e il tempo ancora meno etc etc.
D’accordo, ma una volta tanto il problema non sono i denari e nemmeno le percentuali. Il punto è darsi una visione che non è, come scriveva Jonathan Swift, «l’arte di vedere le cose invisibili», ma semplicemente la capacità di buttare un occhio oltre le più strette contingenze. Fretta e ristrettezze possono erodere i provvedimenti ma non accecare gli sguardi né impedire gli annunci. Un po’ come per la flat tax: l’idea è «X» ma per ora possiamo fare solo «Y». A «X» ci arriveremo. Ecco, sarebbe stato necessario iniziare a tracciare, per il Mezzogiorno, un piano strategico di crescita che vedesse nella Manovra il primo passo, anche piccolo, con l’ambizione prospettica di far diventare la palla di neve valanga nei cinque anni di legislatura. Magari iniziando ad adoperare come leva quel ministero del Mare che, per ora, resta l’oggetto più esotico e misterioso dell’intero esecutivo. E, invece, stringi stringi, la notizia più significativa per il Sud è che il Reddito di cittadinanza se ne va a ramengo col rischio di far ritrovare sul piatto della bilancia del 2023 mezzo milione di poveri in più, come da quantificazione del rapporto Svimez. Senza che, d’altra parte, sia stato fatto nulla per riavviare la macchina. Nessuno choc ma, soprattutto, nessuna idea di choc. Non che mai, in queste settimane, il Sud sia stato massaggiato con particolari promesse. Solo minacce di autonomie differenziate e di cure dimagranti per lo stato sociale, per la gioia dei tecnici di Bruxelles.
L’impressione è doppia. Da un lato che il governo non abbia in mente una strategia compiuta per il Sud. Perché quando una linea di indirizzo ce l’ha, come nel caso della famiglia, beneficiaria di molte disposizioni, poi i provvedimenti fioccano. Dall’altro, che fra Pos, contanti e tagli del Reddito di cittadinanza, la Manovra prossima all’approvazione sembra cucita più sui cumenda milanesi e sui padroncini veneti che sulle necessità effettive del motore fermo d’Italia. Una legge di Bilancio, almeno culturalmente, da Lega prima maniera e non da destra di rito centro-meridionale, come Fratelli d’Italia sembrava essere in continuità con la tanto discussa eredità missina. Ma non esiste nulla di più liquido dell’identità dei conservatori al Governo. Unica oppositrice all’esecutivo Draghi, Giorgia Meloni si scopre ogni giorno più draghiana di Mario. Non tracciare una strategia di medio-lungo periodo per il Mezzogiorno è uno di quei passaggi - insieme alla politica estera (e molto altro) - che affratellano il governo attuale e il precedente. Tra un Pos e un cinghiale, cercasi discontinuità disperatamente.