Allora, si fa una campagna elettorale nella quale il Sud non compare neanche nelle varie ed eventuali. Si usa il Sud come serbatoio di voti a buon mercato per chiunque ne voglia. Si candida al Sud un Salvini che ama il Sud come un Dracula può amare uno spicchio d’aglio. Si candida una Marta Fascina (compagna di Berlusconi) in una Sicilia dove «mi ci portava mio padre da bambina». O una Rita Dalla Chiesa in una Puglia dove «sono venuta a volte in vacanza». O una Casellati in Basilicata dove forse sa che ci sono i Sassi di Matera. La legge elettorale impone liste bloccate che non consentono di scegliere i candidati, più dannoso specie in un Sud che ha molta più necessità di portare la sua voce inascoltata. Un Parlamento di nominati.
Ancora. Si esclude il voto disgiunto non consentendo di votare il candidato più gradito. Si impone la raccolta di firme per chi non è già presente in Parlamento, impedendo al Sud di candidare propri movimenti senza la schiavitù verso partiti tutti nordisti.
Un condizionamento per chi casomai volesse difendere il Sud. Si consente agli emigrati all’estero di votare per corrispondenza, ma non si fa nulla (neanche pagare il viaggio) per consentire a milioni di pendolari meridionali di tornare a casa a votare (dovessero votare per chi dicono loro).
Ancora. Lo Stato italiano da almeno 21 anni (dal 2001 del federalismo fiscale) viola verso il Sud la stessa Costituzione dello Stato italiano. Una violazione ancora più palese dal 2009, quando il federalismo fu perfezionato. Con l’imposizione di calcolare i fabbisogni essenziali per il Sud in tutti quei servizi che sono diritti di cittadinanza. Sanità, scuola, trasporti, assistenza anziani e disabili, asili nido eccetera. Un mancato calcolo che mantiene i servizi al Sud tutti sotto il minimo previsto dalla Costituzione, mentre al Centro Nord sono tutti al di sopra grazie a una spesa storica che l’ha sempre privilegiato. In cifre questo vuol dire dirottare ogni anno dal Sud al Centro Nord 61 miliardi di spesa pubblica. E vuol dire l’altra violazione costituzionale al principio che non si può essere favoriti o danneggiati a seconda di dove nasci.
Ancora. Tutti i partiti (vincitori e vinti, da destra a sinistra) si dichiarano favorevoli all’autonomia differenziata chiesta (finora) da tre regioni del Centro Nord. Un’autonomia differenziata che darà di più a chi ha già di più e toglierà a chi ha di meno finché per il Sud non si calcoleranno i fabbisogni (i Lep, livelli essenziali di prestazione) e quei 61 miliardi non si spenderanno al Sud. Ma gli unici Lep per il Sud finora sotto esame sono quelli per gli asili nido e l’assistenza ai disabili, calcolo pronto non prima del 2026 (con la decisione della ministra Carfagna più a rischio di una foglia d’autunno).
Ancora. Già in campagna elettorale i nuovi partiti di governo hanno annunciato di volere riformare i criteri di spesa del Pnrr, i soldi europei assegnati per i danni da pandemia. Al Sud andato il 40 per cento invece del 65. Ma già campeggia la previsione che il più interessato (leggi danneggiato) dalla riforma potrà essere il Sud. Dove le amministrazioni locali non sarebbero in grado di spendere per inadeguatezza del personale. Senza dire ciò che perfino l’università Bocconi di Milano (su dati della Ragioneria dello Stato) dice: dal 2002 nei Comuni del Sud il taglio di questo personale è stato del 36,3 per cento (rispetto al 26,5 del Nord).
Conseguenza di tutto questo. Il Sud ha il 50 per cento in meno di reddito e il 50 per cento in meno di infrastrutture (grazie anche alla mancata perequazione dal 2009). Al Sud ci si può curare di meno, si può studiare di meno, si può viaggiare di meno, si può lavorare di meno, si vive di meno. Poi soprattutto al Sud (maledetti poveri) va il grosso del reddito di cittadinanza, e si grida allo scandalo. Sud che vorrebbe essere sempre assistito. Dimenticando che mai il Sud è cresciuto (facendo crescere da record anche l’Italia) come quando lo Stato vi ha investito rimediando alla sperequazione.
La trappola del Sud che non va a votare dichiarandosi all’opposizione: scandalo. Se ne è parlato in campagna elettorale solo per il reddito di cittadinanza. Certo imperfetto. Speculando sul reddito di cittadinanza si è parlato di «solito Sud» come se gli piacesse esserlo. Ma la scelta di questo Sud è dei governi che non gli hanno mai dato i mezzi per svilupparsi più che quelli per sopravvivere. Mentre anzitutto il Sud non vuole (l’equa) cittadinanza attraverso il reddito di cittadinanza. Ma attraverso il riconoscimento dei suoi (negati) diritti di cittadinanza. La Meloni prenda un appunto, caso mai.