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Emiliano giallorosso e quel «voto utile» per il movimento 5 stelle

 
Bepi Martellotta

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Bepi Martellotta

Caso Ilva, Emiliano: «L'accordo non mi soddisfa, manca la decarbonizzazione»

Michele Emiliano

Il governatore della Puglia ha un’altra sfida da vincere nelle urne del 25 settembre

Lunedì 05 Settembre 2022, 13:45

16:47

Ormai è ufficiale, Michele Emiliano è impegnato pancia a terra per far vincere le prossime elezioni politiche a.... Giuseppe Conte. Ebbene sì, al netto delle dichiarazioni ufficiali, dei comizi in piazza e dei candidati «civici» piazzati qui e là nelle liste Pd per la corsa al nuovo Parlamento, il governatore della Puglia ha un’altra sfida da vincere nelle urne del 25 settembre: quella con l’omologo della Campania Vincenzo De Luca, che rischia di risultare - pur non volendolo - il presidente della regione dove i Cinque Stelle potrebbero scalare oltre il 20%. E per il Nostro questa sarebbe la vera, unica sconfitta delle prossime elezioni: non riuscire a primeggiare sia nei risultati che i grillini auspicano di raggiungere a Sud sia nel modello giallorosso (l’alleanza Pd-Cinque Stelle) che proprio qui, in Puglia, viene difeso a spada tratta.

Sembrerà un paradosso, ma la principale preoccupazione di Emiliano, per ora, non è il risultato che la lista Democratici e Progressisti, messa in piedi dal Pd con gli alleati, riuscirà a portare a casa. I paradossi della politica sono anche questo: c’è chi fa campagna per far vincere il proprio partito e chi fa campagna per non far perdere un altro. E poi, se l’operazione dovesse riuscire, alla peggio non ci sarà l’odiato terzo polo dell’odiatissimo duo Renzi-Calenda a fare da ago della bilancia tra Meloni e Letta, ma ci sarà lui: «Giuseppi».

In Puglia - questo il ragionamento - comunque vada a finire, i Dem ne usciranno con dignità. Sì, Fratelli d'Italia rischia di fare il botto, con un distacco che i sondaggi nazionali danno di quasi venti punti rispetto agli altri partiti, ma ormai la Puglia è del Pd. È da quasi un ventennio nella mani della sinistra e a destra, a ben guardare i risultati delle amministrative, è rimasto poco o niente. Anzi, la Puglia è e sarà di Emiliano, a giudicare dai candidati con cui il partito di Letta si presenta nei collegi della regione. Tutti, o quasi, suoi fedelissimi. Tutti piazzati nei listini sicuri o nelle posizioni «blindate» del plurinominale. Dunque, comunque vada a finire, un minimo di certezza che a Roma, tra Camera e Senato, ci sarà qualcuno pronto a spingere il bottone del voto al momento giusto come vuole Bari c’è. Quello che, invece, potrebbe venire a mancare è l’apporto del M5S.
Uscito trionfante alle politiche 2013, precipitato da allora per due volte nelle amministrative e ora frantumato dalla diaspora con Di Maio, il partito del «vaffa» non esiste più e le promesse mancate, dalla Tap cancellata all’Ilva sostituita dalle giostrine sulle colline di rifiuti tossici, hanno finito per seppellirlo. Che ne sarà, dunque, del Movimento se anche dalla Puglia ora Conte ne dovesse uscire con le ossa rotte? E, soprattutto, quel modello giallorosso che alla Regione si è addirittura tradotto in un patto di governo, con tanto di pentastellati alla guida degli assessorati, ora che Letta e Conte non se le mandano a dire che fine farebbe? Insomma, cosa accadrebbe al «modello Emiliano» se il Pd resistesse ma i Cinque Stelle saltassero per aria? Le reciproche aperture dei giorni scorsi tra l’ex premier e il governatore, a ridosso di Ceglie Messapica, raccontano bene di quanto stia accadendo in questi giorni di campagna elettorale.

Il primo, l’ex premier, a cercare voti in una disperata lotta di sopravvivenza che (forse) così disperata non sarà, soprattutto a Sud: tanti, a giudicare dai sondaggi, sono pronti a rimettere la crocetta sulle cinque stelle per gratitudine ai benefici portati dal Reddito di cittadinanza. E poco importa se quel Reddito ha desertificato i ristoranti di personale o lasciato a mani vuote aziende alla ricerca di lavoratori a progetto, senza contare i falsi disoccupati che lo hanno percepito (come i falsi invalidi crescono e proliferano). Qui al Sud l’aiuto di Stato non è un auspicio o una concessione, è una pretesa.

Il secondo, presidente di Regione ma soprattutto indiscusso leader di un civismo trasversale che fa incetta di voti a destra come a sinistra, è preoccupato di un futuro nel quale quel pezzo di civismo organizzato che i pentastellati rappresentano non ci sia più. E – questa sarebbe davvero una beffa – addirittura superato nelle regioni del Sud che quel Movimento e il suo leader Conte non li vogliono nemmeno sentire nominare. Bisogna rimboccarsi le maniche e trovare voti per Conte.
Ecco, così, gli emilianisti social cominciare la grancassa. Da Twitter a Facebook (Tik Tok lo lasciamo ai leader nazionali) è tutto un proliferare di professionisti e non (medici e politici, avvocati e partite iva) che da sinistra si scatenano in elogi del governo Conte (per essere più precisi, del Conte 2, quello giallorosso, perche il Conte 1, quello gialloverde con la Lega, ovviamente è da cancellare). E giù con le critiche al Pd che ha «sacrificato» l’accordo nel nome di Draghi. Imperdonabile aver fatto cadere il governo di Supermario? Macché, dicono, più imperdonabile sarebbe per la sinistra perdere quel pezzo di civismo senza vaffa che proprio in Conte ha finalmente trovato un profilo di governo. Piuttosto è il partito «romano» che non è attento alle dinamiche dei territori (Puglia compresa) dove dem e grillini governano. E, ovviamente, governano benissimo. O, ancora, giù con i rimpianti del governo dell’avvocato del popolo che ha fatto meglio di quello del banchiere Draghi perché è stato un po’ più «di sinistra». Della serie: meglio feriti nel matrimonio tra Michele e Giuseppe che morti nella separazione tra Enrico e Giorgia.

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