Fra i tanti anniversari di questo 2022 compare anche il decennale della morte di Lucio Dalla, avvenuta il 1° marzo 2012. Lucio innamorato delle Tremiti e del suo mare ha lasciato un vuoto e non solo in campo musicale. Le sue canzoni sono pennellate vita quotidiana, guizzi di poesia pura come il celeberrimo L’anno che verrà, diventato la «sigla» delle feste del 31 dicembre. Il testo è arcinoto. A fronte di un ritratto impietoso della realtà («si esce poco la sera, compreso quando è festa e c’è chi ha messo dei sacchi di sabbia vicino alla finestra») apre poi al futuro, alla speranza - quasi una certezza - che il nuovo anno sarà quello in cui si realizzeranno i sogni («Sarà tre volte Natale e festa tutto il giorno, ogni Cristo scenderà dalla croce…») per poi tornare a guardare la realtà («Vedi caro amico cosa si deve inventare, per poter riderci sopra, per continuare a sperare»).
Chissà che cosa scriverebbe oggi il cantautore bolognese. Di certo si accorgerebbe che siamo a corto di speranza e di speranze. Gli scenari raccontati dai media e tratti dalle storie di vita quotidiana comunicano solo paura. Si prospetta un autunno di restrizioni e di pericoli: dalle case al freddo alle docce senza acqua calda, dal gas solo in alcune ore del giorno alla corrente elettrica razionata, dai costi energetici che affosseranno migliaia di aziende al crollo del Pil. Per non parlare dell’inflazione, che renderà sempre più difficile fare la spesa, con il latte a 2 euro e il pane a 4 mentre resta in agguato lo spettro delle varianti Covid. Un quadro deprimente cui si aggiungono gli irrisolti problemi dell’Italia, come la scuola che non va, la sanità che arranca, il lavoro che non c’è ma anche la mancanza di lavoratori per certi lavori.
In questo contesto si sta svolgendo una campagna elettorale di cui non frega niente a nessuno, perché tutti i candidati non riescono a tirare fuori un minimo di appeal, a suscitare un pur flebile interesse, a offrire una speranza che qualcosa davvero cambierà. I pretendenti piazzati lì dai partiti pensano solo a vantare le doti proprie e dei loro schieramenti, «migliori di quelli che c’erano prima», anche se erano sempre loro. Neppure la propaganda, con il suo inevitabile quoziente di «bugie», riesce a volare un po’ più in alto. Gli slogan ruotano tutti sullo stesso registro, segno di una vecchiaia precoce dei «nuovi» volti e dei «nuovi» programmi.
È la paura del futuro che agita le folle e anima le discussioni. Un’angoscia diventata costante e frenante nell’Italia degli ultimi anni. Il futuro, neppure dai giovani, è visto più come spazio in cui costruire progetti, cercare sogni, insomma realizzare la propria vita. Al contrario è diventato il deserto da attraversare per approdare alla tranquillità della pensione oppure lo spazio di tempo in cui ci sarà tolto qualcosa della nostra età dell’abbondanza. Manca l’immaginazione per vedere al di là dell’oggi: «Sarà tre volte Natale», diceva Dalla, pur sapendo egli per primo che non sarebbe stato così. È un paradosso incredibile: viviamo nella società dell’immagine, ma non riusciamo a guardare al di là del naso. Si vive per una spinta inerziale aggrappandosi alle piccole certezze quotidiane.
La concentrazione sull’oggi, tipica dell’ambiente digitale, non fa alzare lo sguardo al cielo, non solo in senso materiale - siamo sempre con gli occhi su uno schermo - ma neppure in senso ideale, alla ricerca di un infinito in cui i pensieri possano spaziare e fantasticare. In un’atmosfera così cupa è difficile, se non impossibile, riuscire a trovare una strada per uscirne, per riprenderci la speranza. Però qualcuno deve caricarsi il compito di portare un po’ più di leggerezza su una quotidianità fatta di mille difficoltà e di tornare a immaginare il futuro, a vederlo come il luogo delle possibilità e non delle paure.
I più interessati a farlo dovrebbero essere i giovani, che però sono condizionati dalla gabbia protettiva costruita dagli adulti. Una cappa che impedisce loro di crescere, di uscire dal guscio, di ribellarsi. Infatti sono fragili e i due anni di pandemia l’hanno evidenziato in maniera plateale.
I giovani sono anche la categoria più trascurata, dalla società come dai politici: anche in campagna elettorale. Ora i candidati sbarcano in massa su Tik-Tok, il social giovanile per eccellenza, credendo che basti questo per prendere i loro voti. Ma ragazzi e ragazze non sono stupidi, anche se sembrano lontani dalla politica e dalle istituzioni. In realtà sono politica e istituzioni a essere lontani da loro, incapaci di sfruttarne il patrimonio di energie e capacità. Si dice che i giovani siano il futuro della società e deve essere vero se oggi nessuno si preoccupa di loro, perché il futuro ormai spaventa. Insieme con la morte, che ne è il corollario, è il tabù del XXI secolo. «L’anno che sta arrivando tra un anno passerà, io mi sto preparando, è questa la novità», così Dalla chiudeva il suo brano. I tempi bui che si prospettano tra un anno saranno passati e allora dobbiamo prepararci a vivere il domani.