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Mettiamoci al lavoro per sconfiggere chi specula sui nostri titoli di Stato

 
Salvatore Rossi

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Salvatore Rossi

Mettiamoci al lavoro  per sconfiggere chi specula sui nostri titoli di Stato

La sede della Bce a Francoforte sul Meno

Tra la Banca Centrale Europea, il Pnrr ed un nuovo rischio di recessione economica

Domenica 28 Agosto 2022, 13:46

Alcuni anni fa uscì un film americano che si chiamava in inglese The big short e fu distribuito in Italia col titolo La grande scommessa. Raccontava la storia di un gruppo di investitori finanziari professionisti che avevano previsto il crollo del mercato dei mutui «subprime»: quei mutui concessi per acquistare case a persone chiaramente impossibilitate a onorare il debito, rivenduti più volte e inscatolati in prodotti finanziari che ne facevano perdere le tracce. Una classica americanata, che diede l’avvio alla devastante crisi finanziaria globale del 2008-2009. Gli investitori preveggenti del film si misero a «shortare» quei prodotti finanziari, cioè a venderli «allo scoperto».

Che vuol dire vendere allo scoperto? Vuol dire impegnarsi a vendere fra, diciamo, tre mesi, a un prezzo fissato oggi, qualcosa che al momento non si ha ma che ci si procurerà un attimo prima di doverla vendere, comprandola a un prezzo sperabilmente ribassato rispetto a quello di vendita. È una vera e propria scommessa, che il prezzo di quel prodotto sia destinato a scendere. Come tutte le scommesse, abbisogna di uno scommettitore di segno contrario, cioè di qualcuno che creda, invece, che il prezzo salirà nel tempo della scommessa (nell’esempio che abbiamo fatto, tre mesi). Nel caso dei mutui subprime trovare controparti a cui vendere allo scoperto era facile perché era una mossa controcorrente, tutti erano convinti che i prezzi continuassero a salire. In altri casi, in cui c’è maggiore incertezza fra gli operatori di mercato, tutto dipende dal prezzo fissato e dalla durata della scommessa.

Il film era basato sulla realtà, e non dirò se i protagonisti riuscirono a guadagnarci o no, cioè se riuscirono a prolungare la loro scommessa oltre il momento in cui il mercato effettivamente crollò. Qualche lettore potrebbe voler recuperare quel vecchio film e merita che non gli si riveli il finale. Quel lettore peraltro farebbe bene, perché il film era riuscito in un’operazione molto difficile, quella di spiegare tecnicismi arcani senza perdere il rigore dei concetti, nel quadro di una storia umana appassionante.
Mi è tornato in mente a proposito dell’articolo sul «Financial Times» di giovedì 25 agosto in cui si racconta di un ammontare crescente di vendite allo scoperto di titoli dello Stato italiano che vari soggetti attivi sul mercato finanziario globale starebbero facendo nella previsione di un forte ribasso futuro del loro valore. Dico subito che l’articolo non è granché, si limita a riportare fra virgolette i giudizi di alcuni operatori di mercato, nello stile tipico del giornalismo anglo-americano che separa i (presunti) fatti dalle opinioni. L’articolo ha l’ambizione di descrivere un fatto. Secondo i soggetti intervistati, è naturale scommettere contro i titoli del debito pubblico italiano in presenza di tre circostanze: 1) il forte rincaro del gas naturale aggravato dalla minaccia di embargo russo, 2) la decisione della Banca centrale europea di disfare gradualmente il programma di stimoli all’economia dell’area, 3) la crisi politica che sta portando in Italia ad imminenti elezioni. La prima circostanza metterebbe in particolare difficoltà l’economia italiana, fortemente tributaria del gas naturale russo (insieme, aggiungo io, alla Germania). La seconda pure, essendo stati i titoli del debito pubblico italiano massicciamente acquistati dall’eurosistema. La terza potrebbe veder conquistare un’ampia maggioranza in Parlamento da parte di una coalizione politica al cui interno sono presenti forze euroscettiche.

E perché queste tre circostanze avrebbero come riflesso un naturale ribasso del prezzo di mercato dei titoli di Stato italiani? La seconda - il venir meno degli acquisti della BCE - è ovvio che abbia ceteris paribus questo effetto, ma per la prima e la terza circostanza la ragione non è così ovvia. La questione è che entrambe possono causare una recessione economica: il rincaro del gas perché deprime investimenti e consumi, la crisi politica perché potrebbe portare a un ridimensionamento o a un arresto del Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR), risposta italiana al programma europeo Next Generation EU, le cui prospettive stanno sostenendo la fiducia di imprese e consumatori. Recessione vuol dire più spesa pubblica per sostegni a chi ne risente di più e meno tasse raccolte, dunque più debito pubblico e maggiori emissioni di titoli sul mercato per finanziarlo. E quando su un mercato l’offerta di un bene aumenta, a parità di tutto il resto il prezzo scende.

L’articolo ha avuto qualche risonanza presso i media italiani. Da alcuni è stato criticato in quanto esso stesso alimento della speculazione, anziché sua oggettiva descrizione. È possibile: le scommesse finanziarie di questa specie possono essere profezie che si auto-realizzano se diffondono fra un numero vasto di operatori il sospetto che un certo prezzo di mercato - nel nostro caso, quello dei titoli di Stato italiani - possa avvitarsi in una spirale all’ingiù. E che c’è di meglio di un articolo sul principale quotidiano finanziario del mondo (se la batte per questo primato col «Will Street Journal») per diffondere quel sospetto?
Tuttavia il complottismo in genere non è utile, anche quando è fondato. La domanda da porsi non è tanto cui prodest?, ma se il fenomeno adombrato è verosimile. Purtroppo lo è. Non sto dicendo che è sicuro e neanche che è probabile, solo che è verosimile. Allora fare del moralismo contro gli speculatori, ovvero contro gli scommettitori al ribasso, se questi non violano norme di legge consola ma non serve. È molto più utile rimboccarsi le maniche e far sì che la scommessa venga persa, autentica e dolorosa sanzione per chi la sta facendo.

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