In Puglia e Basilicata
L'ANALISI
Il precariato è uno dei mali della società di oggi
09 Giugno 2022
Gino Dato
«Siamo di fronte ad una situazione sociale esplosiva. Non ci sono solo i salari bassi, ma un livello di precarietà nel lavoro e nella vita che non c'è mai stato… Oggi è decisivo rimettere al centro il problema del lavoro, della lotta della precarietà. È il momento di fare scelte, locali e nazionali, in questa direzione. La politica deve tornare a occuparsi dei bisogni materiali delle persone». Maurizio Landini rappresenta con parole crude ma efficaci la situazione di incertezza, di insicurezza che si va diffondendo in larghi strati di lavoratori. E non solo.
Siamo qui a interrogarci se quelli del leader siano parole troppo crude e allarmismi eccessivi. O se nascano da un profondo e non più sommerso senso di verità. Perché la pandemia e la guerra hanno moltiplicato e accentuato le disuguaglianze tra i ceti, le professioni, soprattutto gli individui, ma non sempre riusciamo a interpretarne i segnali né è facile capire le ragioni che stanno esasperando le asimmetrie del mondo. Nonostante provvedimenti e ristori a ondate. Talvolta sembra anzi che una nostra cecità o indifferenza si aggravi proprio all’allargarsi dei focolai di crisi, proprio quando altri fattori e protagonisti entrano in gioco nel conflitto come variabili.
In origine c’è stata l’emergenza sanitaria, con la ricerca spasmodica di salvaguardia del bene più prezioso, la salute, e quando l’onda si è ritirata eravamo ancora storditi dalla silenziosa violenza della pandemia. Poi è venuta la rottura degli equilibri geopolitici. La guerra è stata improvvisa, insieme alle ecatombi, un conflitto lento ed esasperante, dettato da principi e strategie che non condividiamo ma che subiamo nell’impotenza di un marziano che da un altro pianeta sta a osservare la distruzione che soffia sul nostro. La tempesta tuttavia non ci appare come un disastro che sconvolge totalmente i paesaggi preesistenti, non miete una ecatombe, ma sembra quasi plasmare picchi e dirupi già esistenti, ed altri ancora ne genera. Il senso generale è quello di un ottundimento, di un rimuginìo costante di fronte a un imprevedibile che ha già manifestato il suo repentino agire.
Ci manca forse il senso e la saggezza della storia per «tornare a occuparsi dei bisogni materiali delle persone»? Quella capacità di ordinare le cause e gli effetti di un fenomeno, di capire come i fenomeni storici si dispongano e debbano essere raccontati secondo analogie e comparazioni. La nostra insensibilità all’ intelligenza della storia si manifesta e si comprende tutta in una sorta di presentismo totale: non esiste il passato, non esiste il futuro, galleggiamo solo in un limaccioso e torbido dio Presente che è la nostra unica ragione di vita e al quale rivolgiamo i nostri riti.
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