«La disgrazia ci fa conoscere strani compagni di letto». Per dirla alla Shakespeare la traccia del gas algerino che servirebbe, almeno in parte, all’Italia a sganciarsi dalle forniture russe, meriterebbe qualche riflessione di tipo etico e morale, facendo piazza pulita dell’adagio tricolore «con la Francia o con la Spagna purché se magna».
Mario Draghi si è presentato al palazzo presidenziale algerino e ha concordato con il presidente Tebboune un accordo da 9 miliardi di metri cubi di forniture aggiuntive, che consentiranno di fare un balzo in avanti, in tempi rapidi, nel percorso verso l’indipendenza dalle forniture di Mosca. E di «proteggere cittadini e imprese dalle conseguenze del conflitto in Ucraina». Fin qui ci siamo. E non fa niente che la mossa di Roma rischia di incrinare i rapporti con Madrid, fortemente dipendente dal gas nordafricano.
Si parte da 3 miliardi di metri cubi di metano in più, subito, spiega il ministro della Transizione Roberto Cingolani - che ha accompagnato il premier insieme al titolare della Farnesina Luigi Di Maio che ha siglato materialmente l’intesa - ma il flusso di gas che dal deserto algerino arriverà a Mazara del Vallo attraverso il gasdotto Transmed sarà «costante e andrà a crescere». Nel 2023 si arriverà ai pattuiti 9 miliardi di metri cubi in più che consentiranno di sostituire un terzo delle importazioni russe. Sarebbe però il caso di conoscere meglio il nostro nuovo partner, quello che troveremo nel letto al posto dello zar guerrafondaio.
Tra i 35 astenuti al voto dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite contro l’invasione della Russia in Ucraina, l’Algeria si è distinta per ambiguità e una chiara mancata presa di posizione.
In realtà i rapporti, commerciali e non solo, tra Mosca e Algeri sono ottimi, tanto che a novembre inizieranno le esercitazioni antiterrorismo congiunte delle loro forze terresti nel territorio vicino al confine con il Marocco. Se la cooperazione militare è centrale, le relazioni economiche si sono sviluppate in modo abbastanza discreto e i due Paesi condividono priorità e interessi comuni nel settore energetico e nel contesto geopolitico regionale. E la vendita di armi, dopo il dissolvimento dell’Unione Sovietica, ha ripreso vigore. Mentre nel marzo 2006 il presidente russo Vladimir Putin ha visitato Algeri, portando in dote la liquidazione del debito (4,7 miliardi di dollari) algerino risalente all’era sovietica in cambio di un accordo per l’acquisto di una certa quantità di beni industriali russi.
Quanto al gas, nel maggio 2020, Sonatrach ha firmato un Memorandum d’intesa con la russa Lukoil per una partnership nella produzione ed esplorazione nel Paese nordafricano. Ancora, il colosso energetico russo Gazprom lo scorso settembre ha promesso di collaborare con la controparte algerina alla produzione e al trasporto di gas. Inoltre nel 2019, prima della pandemia, il valore delle esportazioni russe verso il Paese nordafricano ammontava a 1,58 miliardi di dollari e negli ultimi venti anni sono aumentate a un tasso annuo del 13,5%, passando da 75,7 milioni di dollari nel 1995 a 1,58 miliardi.
Ma è sulle armi che si è consolidata la cooperazione. L’Algeria è il sesto importatore al mondo con il 4,3% sul mercato globale. L’obiettivo è di modernizzare l’esercito in un contesto caratterizzato da forti tensioni. Come accennato in precedenza, l’Algeria è un prezioso cliente dell’industria militare russa, il terzo (14%), dopo India e Cina e acquista circa la metà delle armi russe esportate nel continente africano.
Facendo un po’ di calcoli è insomma reale il rischio che ciò che alla Russia esce dalla porta, a causa dei veti e sanzioni, rientri poi dalla finestra e che una miliardata di soldi arrivi proprio da Algeri. Ma non è tutto. Il 3 marzo scorso, quando l’invasione dell’Ucraina era iniziata da una settimana, una sentenza definitiva ha condannato un giornalista a sei mesi di carcere per «minaccia all’integrità del territorio nazionale» e «istigazione a manifestazione non armata». Dietro le sbarre finisce Khaled Drareni, rappresentante di Reporter Senza Frontiere. Amnesty International ha definito l’accanimento giudiziario nei confronti del giornalista «la conferma che qui è in atto un pericoloso giro di vite nei confronti della libertà di stampa»: sono 333 i prigionieri d’opinione rinchiusi nelle carceri algerine secondo il Comitato per la liberazione dei detenuti.
Torna alla mente Shakespeare e quella miseria «che fa conoscere all’uomo strani compagni di letto». Viene alla mente un politico contemporaneo barese e il suo «la politica? Sangue e merda».