«L’Adagio è uno stile di vita, un modo di stare al mondo». Questa frase, tratta dalla prefazione di Teresa Monestiroli, ideatrice e curatrice della collana gli adagi, apre un mondo su Lecce Adagio, nuovo libro del giornalista e operatore culturale Pierpaolo Lala da oggi in libreria (Enrico Damiani Editore, pp. 303, euro 18,90) e offre subito la chiave di lettura di un viaggio che non procede per tappe turistiche, ma per respiri. Non un libro su Lecce, ma con Lecce: una camminata lenta, continuamente interrotta da ricordi, osservazioni, irritazioni tenere e lampi di umorismo che restituiscono la città nella sua complessità quotidiana.
Il volume - che sarà presentato sabato 29 novembre alle 18 alle Officine Culturali Ergot di Lecce, lunedì 1 dicembre alle 18 alla Libreria Liberrima, mercoledì 10 alle 18:30 alla Libreria Palmieri e giovedì 11 alle 18:30 nella Distilleria De Giorgi di San Cesario - è, appunto, il decimo di una collana di guide autoriali pensate sia per i turisti sia per gli abitanti, che suggeriscono un cambio di ritmo e prospettiva «per tornare a stupirsi di fronte a luoghi che abitiamo distrattamente». «Non è una guida esaustiva - racconta Lala - e io non sono una guida turistica convenzionale: è un itinerario, personale e non definitivo, nella mia città, croce e delizia, giardino fiorito e prigione arida, futuro e nostalgia canaglia». Nelle pagine si racconta una città che si sottrae allo sguardo da cartolina e rifiuta l’estetica preconfezionata della «Firenze del Sud». Lecce torna a essere luogo vissuto, imperfetto, fatto di relazioni microscopiche e riti che resistono. E la lentezza, quella che serve per far riemergere in superficie i dettagli più intimi, è la trama invisibile che tiene insieme il racconto.
Dalla Basilica di Santa Croce a piazza Duomo, dalla Lupiae romana riemersa nel periodo fascista, sulle orme di Tito Schipa, fino al Castello Carlo V (che non ci passò mai), il libro procede senza fretta o impazienza, con un’attenzione costante a ciò che passa spesso inosservato. Lecce diventa una città mentale prima ancora che fisica: i bar di quartiere con gli spazi pubblici che cambiano, le luci del centro con le ombre dei suoi margini, la città nuova con i murales della zona 167 e dei diritti civili, la passione per il calcio, le comunità di stranieri che si sono insediate. Il Barocco è un pretesto per raccontare un'identità, senza mai indugiare nella nostalgia, perché la memoria qui serve per capire come siamo cambiati noi, non per rimpiangere ciò che era.
E uno degli aspetti più riusciti della scrittura di Lala è la cura con cui osserva le persone: ogni figura che appare, anche la più marginale, diventa parte della topografia emotiva della città, dagli anziani che presidiano le piazze, ai lavoratori che la attraversano prima che si svegli, perché sì, Lecce «cammina piano», ma è capace di grande energia creativa. Inevitabile, poi, il confronto con la narrazione contemporanea del turismo invadente, delle trasformazioni urbanistiche, consapevoli che ogni città viva fa i conti anche con il conflitto. L’Adagio diventa allora un atto di resistenza, una scelta politica nel senso più ampio del termine, di quell’impulso fatto di inquietudine e impotenza davanti alle ingiustizie grandi e piccole.
Riflessioni acute e immagini folgoranti si alternano a momenti di tenerezza e parentesi comiche perfettamente calibrate. E perfino la digressione qui è metodo, scoprendo la città non per argomenti, ma per movimenti laterali, ritorni, inciampi, illuminazioni improvvise. Lala sembra voler dire che la vera identità dei luoghi è fatta di margini, non di copertine. A fine libro resta la sensazione di aver camminato davvero al fianco dell’autore, e di aver osservato Lecce con occhi più lenti e attenti. Un invito a riconquistare il tempo, a riappropriarsi dello sguardo, a sottrarsi all’accelerazione continua. Un omaggio affettuoso, critico e necessario, a un luogo che continua a cambiare ma che riesce ancora a parlare a chi è disposto ad ascoltarlo. Un libro che si chiude come si chiude una passeggiata: senza la sensazione di essere arrivati, ma con quella di essersi goduti il viaggio.
















