Assemblee infuocate questa mattina all’ex Ilva di Taranto, dove Fim, Fiom, Uilm e Usb hanno riunito i lavoratori alla portineria imprese e nella sede del consiglio di fabbrica dopo la rottura tra governo e sindacati. Le sigle metalmeccaniche hanno deciso un pacchetto di iniziative che comprende lo sciopero immediato, occupazione di reparti e blocchi interni, chiedendo di ritirare il piano annunciato a Palazzo Chigi, ritenuto il preludio alla chiusura dello stabilimento. Dopo il confronto, centinaia di operai si sono mossi in corteo dalla portineria imprese verso la direzione, trovando l’ingresso sbarrato. La mobilitazione prosegue, mentre il clima nello stabilimento resta teso e carico di incertezza sul futuro produttivo e occupazionale del siderurgico.
FABBRICA OCCUPATA E BLOCCHI STRADALI
FIM: LAVORATORI MAI VERSO UN PIANO DI CHIUSURA
D’Aló ricorda che «l'unico piano che conosciamo è quello discusso con commissari, governo e lavoratori» e avverte che la protesta non si fermerà. «Non strumentalizzate la manifestazione, non è contro nessuno: è - spiega - a favore del lavoro e delle persone che vogliono continuare a operare in un ambiente salubre».
Sul fronte industriale il sindacalista afferma che «la decarbonizzazione deve essere fatta seriamente: il governo trovi le risorse, che non possono uscire mettendo in cassa le persone e ricavandole dai loro salari. Questo non lo accetteremo mai».
Il no riguarda anche lo stop agli impianti: «Non accetteremo la fermata di impianti fondamentali per il rilancio di Taranto, Genova, Novi, Salerno e di tutto il gruppo ex Ilva».
La mobilitazione ora lascia la fabbrica per attraversare la città. «Ci sposteremo all’esterno - conclude D’Aló - per gridare che non ci fermeremo. Serve che il governo riapra il dialogo e lo faremo con ogni mezzo possibile, perché nessuno deve avere la possibilità di far finire la storia dei lavoratori dell’Ilva».
FIOM: IN LOTTA CONTRO PIANO CHIUSURA INACCETTABILE
«Oggi - ha aggiunto - mettiamo in campo iniziative di mobilitazione con occupazioni all’interno dello stabilimento e presidi all’esterno perché dobbiamo dimostrare al governo che per noi il piano che ci hanno presentato è inaccettabile. Ci dicono che non ci sarebbero 6mila lavoratori in cassa ma 4.550 e che 1.500 sarebbero in formazione, ma dai nostri calcoli parliamo di appena otto giorni a testa: è una presa in giro nei confronti dei lavoratori», afferma Brigati.
«Dal primo gennaio - prosegue - spegneranno per la prima volta dopo 60 anni le batterie delle cokerie e resteremo con un solo forno in marcia. Se non arriveranno acquirenti entro febbraio, lo stabilimento chiuderà perché dicono di non avere risorse. Questo è un piano di chiusura mascherato da transizione», aggiunge.
Il governo «sta scaricando sui lavoratori e sulla comunità - attacca il sindacalista - il costo delle sue scelte. Noi non siamo disponibili ad accettare questo scenario: devono ritirare quel piano, mettere immediatamente le risorse e garantire una discussione permanente con le organizzazioni sindacali. Prepariamoci, perché non sarà una sola giornata di mobilitazione. Questo è solo l’inizio e non ci fermeremo», conclude Brigati.
















