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Foa: «Così funziona la trappola del potere»

 
Leonardo Petrocelli

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Leonardo Petrocelli

Foa: «Così funziona la trappola del potere»

«Il Sistema (in)visibile», nuovo saggio dell’ex presidente Rai. Domani alle 18 la presentazione nella libreria Roma a Bari con Paolo Petrecca, direttore RaiNews 24, e Oscar Iarussi, direttore della «Gazzetta»

Venerdì 25 Novembre 2022, 12:22

12:51

Domani pomeriggio (ore 18), negli spazi della Libreria Roma di Bari, si presenta il volume «Il Sistema (in)visibile» (Guerini e associati, pp. 251, euro 19) del giornalista Marcello Foa. Dialogano con l’autore il direttore della «Gazzetta», Oscar Iarussi, e il direttore di Rai News 24, Paolo Petrecca.

È una radiografia ragionata del potere quella realizzata da Marcello Foa, giornalista ed ex presidente Rai dal 2018 al 2021, nella sua ultima fatica Il Sistema (in)visibile. Un «disvelamento» documentato dei meccanismi di costruzione e diffusione della cosiddetta «agenda globale» che tira in ballo governi, fondazioni, giornalisti, intellettuali. E che ci restituisce il ritratto di una cittadinanza priva di controllo sui propri destini.

Foa, in questa storia prima del «chi» e del «come» conta il «quando». Qual è il punto di rottura?

«Finché si trattava di combattere il comunismo l’Occidente aveva interesse a dimostrare la piena corrispondenza tra valori democratici, benessere e propaganda. Un modo per esercitare una forte influenza sui Paesi della sfera sovietica».

Poi crolla il Muro e che succede?

«Succede che la corrispondenza si perde, diventa superflua. S’impone un nuovo criterio generale, la globalizzazione, che non prevede coincidenza. Valori, realtà dei fatti e comunicazione prendono strade diverse e non sempre allineate».

Il potere tira dritto nel costruire il mondo globale. Ma come funzionano le cose?

«Soffriamo di una dissonanza perché pensiamo ancora nei termini di destra e sinistra, di bagarre politica. Ma il potere funziona diversamente e soprattutto è altrove. Non c’è una Spectre che decide, ovvio, ma esiste una gestione da parte di attori pubblici e privati che remano tutti nella stessa direzione. L’input parte da Washington e poi si allarga».

E come si allarga?

«La commistione tra pubblico e privato è legata al sistema delle porte girevoli e del moltiplicarsi dei ruoli ricoperti da una stessa persona che possiamo vedere dappertutto. Prima in un’università, poi in una azienda, poi in una fondazione, poi in politica. Mantenendo, ovviamente tutti i legami intatti e un’agenda coerente in ognuno di questi passaggi».

Conflitto di interessi?

«Direi coincidenza di interessi. Nel libro ci sono molti esempi su come funziona l’agenda globale, da chi viene pensata e come viene imposta. Il Forum di Davos, per dirne una, non è un mero luogo di discussione ma una realtà attiva nel definire le priorità tematiche ed attuarle. Non solo, è anche una scuola che fa crescere le élite tramite il Forum of Young Global leaders».

Quest’ultimo è meno noto. Chi ne fa parte?

«I nomi sono tanti e reperibili pubblicamente: Macron, Renzi, Zuckerberg, la finlandese Sanna Marin e, caso singolare, la cofondatrice di Black Lives Matter (BLM) Alicia Garza».

Che ci fa un’attivista tra i rampolli del mondo globale?

«Ecco, BLM è un esempio interessante di come l’attivismo possa essere incanalato per motivi politici. Sotto Obama era un movimento estremista e disdicevole. Poi arriva l’odiato Trump e diventa un riferimento globale. Non è un giudizio politico, è una constatazione. Non sembra un po’ strano?».

In questo schema un ruolo notevole lo giocano la stampa e gli intellettuali. Va bene il mainstream ma a cosa si deve tanta uniformità?

«Mi fanno ridere quelli che dicono che tutti i giornalisti sono venduti. È una ipotesi suggestiva ma irrealistica».

Quindi?

«È successo che durante la Guerra Fredda il Kgb mise in atto dei raffinatissimi meccanismi di condizionamento della stampa e del mondo culturale che, infatti, si spostarono decisamente a sinistra. Oggi, questa stessa impostazione è stata messa al servizio della globalizzazione».

Ma come si fa a spostare giornalisti e intellettuali da tesi marxiste al liberal-liberismo attuale?

«Non è difficile. Si parte da un elemento comune, cioè l’internazionalismo. Da qui, il problema è stato fornire alla sinistra un appiglio, qualcosa che la rassicurasse nella sua funzione etica e cioè le battaglie umanitarie ed ecologiste. E, infine, un riferimento concreto: la sinistra americana. L’idea ha funzionato. Oggi la sinistra è diventata iperliberista ma si compensa con l’umanitarismo».

Conosce l’obiezione: tutto questo è puro complottismo.

«Quella del complottismo è una tecnica sperimentata con successo negli Usa per screditare chi confutava l’operato della Commissione Warren sull’omicidio di Kennedy. Si comprese che si tratta di un meccanismo efficacissimo per screditare l’interlocutore, costretto a ripiegare e difendersi».

Lei è stato presidente della Rai. Non poteva far nulla per contrastare il conformismo dell’informazione?

«Ero presidente, non amministratore delegato. Quindi il mio potere era limitato. Ma sul servizio pubblico mi lasci dire una cosa: può avere un ruolo vitale a tutela della democrazia solo se indipendente e pluralista, libero cioè dal condizionamento della politica. E dunque, anche, dell’agenda di cui sopra».

Il quadro non è positivo. Ma ammette di conservarsi pasolinianamente ottimista. Questo slancio a cosa si deve?

«Allo svilupparsi di una coscienza democratica trasversale dopo le recenti crisi, dal Covid all’Ucraina. Il numero di persone che non si accontenta delle verità formali è più alto di quanto si possa immaginare».

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