Sabato 06 Settembre 2025 | 13:05

Il Nobel ad Annie Ernaux nei suoi libri la vita di tutti

 
Ornella Tajani

Reporter:

Ornella Tajani

Premio Nobel per la Letteratura 2022 ad Annie Ernaux

Premio Nobel per la Letteratura 2022 ad Annie Ernaux

L’autrice francese, 82 anni, premiata «per il coraggio e l’acutezza» di storie fra autobiografia e cronaca collettiva, fra realtà e sogno

Venerdì 07 Ottobre 2022, 11:01

Annie Ernaux vince il Premio Nobel per la Letteratura e la reazione di gioia da parte del pubblico è immediata. Amatissima anche in Italia, Ernaux, nata nel 1940, è autrice di oltre una ventina di titoli che, a partire dagli anni ’70, compongono una grande opera auto-socio-biografica: è lei stessa a coniare questo termine, autosociobiographie, per descrivere la propria produzione letteraria, nella quale il racconto intimo si intreccia alla storia collettiva, sociale e politica di una generazione; così, l’esperienza personale diventa il prezioso tassello che illumina l’affresco di un’epoca e di uno spazio attraversati dalle lotte di classe.

Basta una frase a dare il senso della fusione così riuscita tra la dimensione soggettiva della scrittura di Ernaux e la connessione con la temperie storico-culturale: in più di un’occasione, commentando la perdita della madre, l’autrice sottolinea che «è morta otto giorni dopo Simone de Beauvoir». La figura della genitrice reale e quella della scrittrice che le ha insegnato «la demistificazione dell’eterno femminino» si ritrovano cristallizzate in un’associazione luttuosa solo in apparenza: riconoscendo la doppia maternità, biologica da un lato e intellettuale dall’altro, Ernaux si afferma come donna e come autrice.
In maniera simile a Didier Eribon, intellettuale cui la lega l’eredità della lezione bourdieusiana, compie un percorso di «transfuga di classe»: cresciuta a Yvetot, in Normandia, attraversa la giovinezza divisa tra la routine della quotidianità familiare, i cui ritmi sono dettati dagli orari del bar-alimentari gestito dai genitori, e il sogno di una vita di donna libera di scoprire il mondo, che si tratti della letteratura o della scoperta dei sensi. Tale spaccatura è all’origine della scrittura di Ernaux, che affonda le radici nel sentimento di aver tradito le proprie origini, come lei stessa ricorda sovente, a partire dall’esergo di Jean Genet scelto per Il posto: «Scrivere è l’ultima risorsa quando abbiamo tradito».

Questo breve romanzo dell’83 si apre sul superamento del concorso per docenti che sancisce il passaggio di classe determinante nell’esistenza della scrittrice. Nel commentarlo Eribon scrive: «Ernaux evoca splendidamente il disagio che si prova quando si torna dai genitori dopo aver lasciato non solo il domicilio familiare, ma anche la famiglia e il mondo ai quali, nonostante tutto, si appartiene ancora, e quel sentimento sconcertante di essere, al tempo stesso, a casa propria e in una dimensione estranea». Il ritorno si configura dunque come percorso identitario necessario, analizzato all’interno di un preciso contesto storico e geografico, vale a dire in un continuo raffronto con le strutture sociali che dominano uno spazio e un’epoca, stabilendo traiettorie, creando gerarchie, emanando verdetti.

Il disagio già evocato è la conseguenza di una «memoria umiliata» che si fa motore d’ispirazione poetica anche in testi successivi: La vergogna (1997) è un prodigioso breviario della dimensione provinciale, quello spazio in cui «la buona educazione era il valore per eccellenza» e dal quale era bandita ogni eccentricità, tanto che «i cani si chiamavano tutti Miquet o Boby». L’autrice racconta di aver vissuto nello stesso usage du monde dei genitori e di aver condiviso con loro espressioni idiomatiche e tic linguistici; di questo lessico familiare il racconto offre un piccolo repertorio, in cui spiccano folgoranti sgrammaticature.

La riflessione sul linguaggio è centrale in Ernaux : «Come volete che non mi riprendano, se voi parlate sempre così male!», esclamava esasperata la scrittrice adolescente ai genitori in Il posto, in risposta alle loro esortazioni ad andar bene a scuola, per «non fare brutta figura» con gli insegnanti; e ancora: «Nei miei ricordi tutto ciò che riguarda il modo di esprimersi è motivo di rancore e di litigi penosi, ben più del denaro», suggerendo che all’interno del linguaggio nascono i primi conflitti legati all’affermazione identitaria.

Come si diceva, uno dei talenti di Ernaux è quello di saper legare il racconto di sé alla memoria collettiva: in proposito è centrale il pluripremiato romanzo Gli anni (2008), cronaca collettiva del mondo dal dopoguerra al Duemila, in cui frammenti più o meno brevi fotografano la realtà e danno il senso del fluire ininterrotto del tempo. Quando l’autrice scrive: «andare in città, sognare, darsi piacere e attendere: riassunto possibile di un’adolescenza in provincia» non sta parlando soltanto della propria adolescenza, ma di quella di tante giovani donne della sua generazione. A più riprese l’opera complessiva di Ernaux racconta l’esperienza della coscienza imbrigliata al corpo, parafrasando un titolo di Susan Sontag: così dunque anche il racconto dell’aborto clandestino al centro di L’evento (2000), consacrato dal film di Audrey Diwan vincitore al festival di Venezia l’anno scorso, diventa eminentemente politico, perché denuncia non solo le tremende difficoltà cui le donne andavano incontro prima della legge sull’aborto, ma anche le posture e imposture sociali e morali; ed è questo uno dei testi intorno al quale si tessono le motivazioni del Nobel.

Le storie di Ernaux non sono mai soltanto ciò che sembrano: ogni episodio travalica i confini del vissuto e produce riflessione, discorso. È in questo senso che va inteso l’esergo dell’ultimo Le jeune homme, apparso in Francia a maggio: «Se non le scrivo, le cose non si sono davvero compiute, le ho soltanto vissute».

C’è dunque da gioire che Annie Ernaux abbia vinto il più importante riconoscimento letterario «per il coraggio e l’acutezza clinica con cui ha rivelato l’agonia dell’esperienza di classe, descrivendo la vergogna, l’umiliazione, la gelosia o l’incapacità di vedere ciò che siamo»; e lo ha fatto con una lingua misuratissima, che procede per sottrazione, la cui potenza sta proprio nell’essere sapientemente condensata. Pubblicata in Italia dapprima da Guanda e Rizzoli, è oggi edita da L’Orma nelle traduzioni di Lorenzo Flabbi.

© RIPRODUZIONE RISERVATA

Marchio e contenuto di questo sito sono di interesse storico ai sensi del D. Lgs 42/2004 (decreto Soprintendenza archivistica e Bibliografica Puglia 18 settembre 2020)

Editrice del Mezzogiorno srl - Partita IVA n. 08600270725 (Privacy Policy - Cookie Policy - - Dichiarazione di accessibilità)