È uno degli ospiti più attesi del settantunesimo Festival di Sanremo. Achille Lauro, all’anagrafe Lauro De Marinis, in queste ore sta mettendo a punto gli ultimi dettagli dei cinque «quadri» - uno per ogni serata - che interpreterà sul palco del teatro Ariston, cantando con l’orchestra dal vivo. Pochi giorni fa, però, forse per rilassarsi in vista dell’impegno festivaliero, ha fatto un salto, in incognito, a Gravina, la città di suo nonno Federico Filippo De Marinis, che fu prefetto, al quale dall’anno scorso è intitolata una via cittadina. E sotto quel cartello stradale si è scattato un selfie insieme con la affezionata cugina di primo grado Maria Pina Digiesi, avvocato e consigliera comunale di maggioranza della città murgiana. Personaggio eclettico, il trentenne Lauro (è questo il suo nome di battesimo) è il perno di una vera e propria factory della quale fanno parte il suo manager, il materano Angelo Calculli, e il figlio di quest’ultimo, Gregorio Calculli, compositore e direttore d’orche - stra, che lo seguiranno come ombre, in Riviera di Ponente. Delle sue cinque esibizioni sul palcoscenico ligure si sa che sarà da solo (non ci sarà Boss Doms, quello del discusso bacio del 2020) e che vestirà abiti Gucci disegnati appositamente per lui in virtù di una esclusiva consolidata. L’anno scorso, pochi giorni dopo la multiforme esibizione in gara con il brano Me ne frego, Lauro con l’assi - stenza di Calculli senior firmò un contratto senza precedenti nel panorama musicale nazionale: diventò direttore creativo di Elektra Records-Warner Music Italy, la leggendaria etichetta che ha lanciato e accompagnato Ac/Dc, Queen e The Doors. Dopo la recente uscita dell’album di cover 1920 nel quale rivisita classici swing come My Funny Valentine e Chicago nobilitati dalla tromba di Flavio Boltro, è impegnato nella preparazione del prossimo cd, stavolta di canzoni originali.
Per parlare dell’attuale mood dell’artista nato a Verona nel 1990, raggiungiamo al telefono Angelo Calculli, già produttore di Califano. Può rivelarci il carattere autentico del suo artista? «Lauro è un persona sensibile, legatissima ai genitori, anzi è una specie di patriarca pur essendo molto giovane. Intende la famiglia in senso quasi patriarcale. Adora trascorrere ore in compagnia non solo dei genitori ma di zii, cugini e non solo, proprio come quando da bambino trascorreva l’estate in una villa di parenti a Castellaneta Marina. Non è nato in Puglia ma ci è molto legato».
Come è nata la sua collaborazione con lui? «Collaboriamo da circa quattro anni, da quando lui ha virato sul punk rock. In effetti prima di allora io mi occupavo di produzioni jazz. Tra noi due è nata subito l’alchimia. Certo, a volte ci scontriamo. Ma ci compensiamo alla grande: lui è artista, io ragiono in termini più imprenditoriali, anche perché prima di occuparmi di musica ho lavorato nei settori dell’agrindustria e del mobile imbottito. Devo ammettere che non ho mai sbagliato un contratto».
La pandemia quanto ha sconvolto i vostri programmi? «Innanzitutto, per uno come Lauro, che ama il contatto diretto con la gente, dover rinunciare a qualsiasi esibizione live è stato molto duro. Io poi ho preso il Covid a fine ottobre, sono stato ricoverato anche in terapia intensiva a Matera, e per tre mesi lui e io ci siamo parlati solo attraverso il monitor dell’ipad. Per me, Lauro è un figlio acquisito ».
Lei ha lavorato con un pilastro della musica italiana come il compianto Franco Califano. Quando sono diversi il Califfo e Lauro? «Direi che anzi sono molto simili. Hanno un dato in comune su tutti: la originalità nella concezione dei testi, nei quali riscontro una struttura somigliante. È il vissuto che determina la unicità di un testo. E Lauro di vissuto ne ha da vendere. Non solo per gli anni trascorsi nelle borgate romane».