ANDRIA - «Ho denunciato perché non sopportavo che qualcuno mettesse le mani nelle mie tasche. Il pizzo è ingiusto». Le parole di Felice Gemiti, imprenditore andriese, sono risuonate ieri a Canosa, all’inaugurazione dello sportello antiracket e antiusura.
Gemiti, in un breve incontro con alcuni giornalisti, ha raccontato la sua storia e la sua decisione di tanti anni fa di non piegarsi alla criminalità organizzata. «Solo attraverso la legalità il successo personale è duraturo e ha valore – ha spiegato l’imprenditore, amministratore delegato Gemitex S.p.A. – il mio invito rivolto a tutti è a denunciare, perché solo questo inorgoglisce chi segue la strada della legalità. Una strada che va percorsa – ha detto Gemiti – non soltanto in alcuni momenti della propria vita, ma sempre, in ogni cosa. Io ho deciso di denunciare il racket delle estorsioni perché non mi è sembrato corretto che qualcuno mi potesse mettere la mano in tasca dopo tutti i sacrifici che ho fatto e che continuo a fare. Questa è una cosa che io proprio odio».
Gemiti ha raccontato anche il suo impegno in prima persona nella onlus «Amici per la Vita» che riunisce ben 53 soci tutti imprenditori del territorio, che fa molta beneficienza (l’ultima in ordine di tempo la spedizione di beni primari in Ucraina, attraverso la Caritas di Cracovia). «Vogliamo introdurre le persone nel percorso della legalità, nel mondo del lavoro e per questo nel progetto Senza Sbarre, in corso di svolgimento nella Masseria San Vittore a Castel del Monte, insieme alla diocesi abbiamo avviato il progetto “A mano libera” per la produzione di taralli e pasta da parte di coloro che hanno scontato una condanna giudiziaria e che trovano difficoltà a reinserirsi nel mondo lavorativo. Per chi ha bisogno noi ci siamo, ma per chi vuole metterci le mani in tasca no».
Felice Gemiti non si è mai pentito della sua scelta: «Certo ho avuto paura anche io, soprattutto non per me ma per chi è intorno a me. E poi col tempo ho imparato a non avere paura di nessuno. Ricordo perfettamente il giorno in cui hanno tentato di rapirmi: come in un film, mi misero in macchina dietro, in basso, con una coperta addosso ed un’arma puntata alla testa. E’ un momento terrificante: in pochi attimi non ho avuto nemmeno il tempo di capire cosa stava accadendo. Era tutto così veloce, così furioso senza sapere cosa potrà accaderti. Oggi tutto questo lo ricordo, ma non mi sono mai pentito della mia decisione. Ognuno deve fare il proprio dovere e denunciare: e denunciare non in parte, ma raccontare davvero tutto».