Il 30 settembre, dieci giorni prima di finire nel carcere di Trani dove sta scontando la sua condanna definitiva per usura, Flavio D’Introno si è seduto per l’ultima volta davanti ai pm di Lecce. E ha raccontato di altre mazzette pagate in cambio di favori mai ricevuti, consegnando a chi indaga una serie di documenti che testimonierebbero i passaggi diretti e indiretti di denaro: in tutto più di 300mila euro. L’inchiesta sulla giustizia truccata nel Tribunale di Trani dunque va avanti, e la notifica di una proroga delle indagini ha comportato la discovery sui nomi e sulle accuse del secondo filone. L’ex pm antimafia Domenico Seccia, barlettano, oggi sostituto pg in Cassazione, è accusato di concorso in corruzione insieme al commercialista barese Massimiliano Soave e allo stesso D’Introno. Soave risponde anche di tentata violenza privata nei confronti dell’imprenditore di Corato.
Nella richiesta di proroga che il pm Roberta Licci ha inviato al gip Cinzia Vergine si fa riferimento appunto ai verbali di D’Introno, e agli ulteriori accertamenti delegati ai Carabinieri di Barletta che negli ultimi mesi hanno ascoltato in qualità di testimoni numerose persone. L’iscrizione di Seccia e di Soave (che, con l’avvocato Antonio La Scala, ha già più volte spiegato di ritenersi assolutamente estraneo ai fatti) è avvenuta a maggio scorso, evidentemente dopo le verifiche sulle prime confessioni rese da D’Introno a partire da ottobre 2018, quelle già depositate ma coperte da numerosi «omissis». Nell’ultimo interrogatorio prima dell’arresto, l’imprenditore di Corato avrebbe invece ripreso la vicenda delle cartelle esattoriali da 10 milioni, quelle che aveva tentato di bloccare in ogni modo pagando l’ex pm Antonio Savasta e l’ex gip Michele Nardi (entrambi già a processo con l’accusa di associazione per delinquere). Oltre ad essere il trait d’union tra D’Introno e Nardi, Soave sarebbe stato anche il suo collegamento con il dottor Seccia (ex pm a Trani e Bari, poi procuratore a Lucera e Fermo) all’epoca componente della commissione tributaria provinciale di Bari che annullò le cartelle per un difetto di notifica. Decisione poi ribaltata in secondo grado con definitiva conferma in Cassazione.
Un tentativo, quello di bloccare le pretese in sede tributaria, che D’Introno ha detto di aver pagato più di 100mila euro. Soave - ha raccontato l’imprenditore - avrebbe preteso denaro anche per intervenire nel corso del processo di secondo grado per l’usura. Seccia invece, sempre nella versione che l’accusa sta cercando di riscontrare, avrebbe indotto D’Introno anche a intervenire nel procedimento fallimentare che riguardava il cognato del magistrato barlettano attraverso l’acquisto di un credito, operazione poi effettuata dal padre di D’Introno spendendo altri 100mila euro.
In quanto alla tentata violenza privata, anche questa da riscontrare, D’Introno ha raccontato un incontro con Soave che - a suo dire - gli avrebbe consigliato di non tirare in ballo Seccia, che altrimenti gli avrebbe «mandato la mafia garganica».
L’inchiesta sulla giustizia truccata nel Tribunale di Trani vede al centro dell’accusa i soldi e i favori pagati da D’Introno a Savasta, Nardi e all’ex pm Luigi Scimè: oltre due milioni più regali e viaggi. Il processo con rito ordinario (dove c’è Nardi) riprenderà il 5 febbraio, mentre quello in abbreviato (con Savasta che ha confessato e Scimè) ripartirà il 20 gennaio con le richieste dell’accusa.