«Ma lei quando ha visto la violenza della sua compagna, quando ha capito che anche vostro figlio era in pericolo, perché non ha preso il bambino ed è andato via?». Carlo davanti alla domanda del giudice abbassa un po' lo sguardo, poi alza il volto, gli occhi sono come due fessure: «Chi avrebbe creduto alle mie parole? Chi avrebbe potuto accettare che io venivo picchiato e che andare via era un modo per salvare me stesso e mio figlio? Mi rispondo da solo. Nessuno. Anzi, sarei stato accusato di aver tolto un figlio alla madre. Sarei passato dalla parte del carnefice. E sarei stato crocifisso».
Nessuno nell'aula di tribunale emette un suono. Le parole di Carlo svelano un pregiudizio purtroppo comune: un uomo non può essere picchiato da una donna, non può essere «la vittima».
E invece è quello che Carlo da mesi provava a denunciare nel silenzio di chi gli stava intorno, nelle alzate di spalle di chi ha liquidato il problema come inesistente. Carlo naturalmente è un nome di fantasia, ma la storia è verissima: un caso di codice rosso al maschile, dove l'abusato è lui. E che però oggi si trova ad essere vittima tre volte: della compagna violenta, del pregiudizio di chi non lo crede nonostante audio e video provino il contrario, di una legge che nella sua attuazione non prevede l'ipotesi di un padre abusato da mettere in sicurezza con i propri figli. Esattamente come prevede il Codice rosso quando invece si attiva per una donna...
CONTINUA A LEGGERE SULL'EDIZIONE CARTACEA O SULLA NOSTRA DIGITAL EDITION