BARI - Il ferimento del pregiudicato 35enne Domenico Franco, commesso il 22 agosto 2022 nel quartiere San Paolo, non fu mafioso. Lo hanno stabilito i giudici della Corte di Appello di Bari che hanno ridotto da 7 anni a 3 anni e 4 mesi di reclusione la condanna inflitta al 21enne Francesco Vavalle: assolto dal reato di porto e detenzione di armi «per non aver commesso il fatto» e condannato per il concorso morale nelle lesioni con esclusione dell’aggravante mafiosa. Reo confesso dell’aggressione il fratello di Francesco, Giuseppe Vavalle, 27 anni, già condannato con il rito abbreviato a 3 anni e 4 mesi di reclusione in appello (per lui pende il ricorso in Cassazione sull’aggravante mafiosa.
La sera del 22 agosto 2022, quindi, il 35enne fu pestato a sangue, colpito in faccia con un tirapugni e ferito ad una gamba da un proiettile esploso a bruciapelo. Scenario dell’agguato il seminterrato del bar «Gran Caffè» in via delle Regione, gestito dalla famiglia Vavalle. La vittima, a quel punto, sanguinante e zoppicante, dopo aver minacciato vendetta, si sarebbe allontanata a piedi per poi farsi accompagnare in ospedale da un automobilista che passava di lì.
Per il pestaggio erano finiti alla sbarra in quattro: oltre ai due fratelli Giuseppe e Francesco Vavalle, c’erano la mamma e la sorella, accusate di aver ripulito la scena del delitto dal sangue della vittima ed entrambe poi assolte, tutti assistiti dall’avvocato Nicola Quaranta.
Il ferimento - secondo la Dda di Bari - costituì il culmine di una faida ventennale tra la famiglia Vavalle del quartiere San Paolo e il clan mafioso Strisciuglio, di cui Franco è ritenuto sodale. Nei mesi precedenti all’agguato l’Antimafia aveva ricostruito una serie di atti intimidatori, aggressioni e sparatorie in un clima di tensione dovuto, secondo l’accusa, «alla necessità da parte degli aggressori di individuare in Domenico Franco», definito nelle intercettazioni uno dei «capi cicci» del quartiere, il referente del clan a cui dichiarare guerra. L’aggressione, cioè, avrebbe avuto «lo scopo dimostrare la capacità della famiglia Vavalle di contrapporsi al gruppo dominante degli Strisciuglio, per acquisire predominio sui traffici illeciti nel quartiere San Paolo». Una ricostruzione - quella della faida mafiosa - che ora sembra smentita dall’esito del processo al più giovane dei Vavalle. Forse - ma lo si capirà solo con il deposito delle motivazioni, tra 90 giorni - i giudici hanno condiviso la diversa lettura del contesto nel quale sarebbe maturato l’agguato fornita dalla difesa, l’avvocato Quaranta, sulla base anche delle intercettazioni, delle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia e di altri testimoni: cioè la conseguenza di estorsioni al bar di famiglia da parte del clan alle quali i fratelli Vavalle non si sarebbero piegati.
La Corte di Appello, inoltre, avendo escluso l’aggravante mafiosa hanno anche revocato il risarcimento alla Regione Puglia, costituita parte civile. Dopo la sentenza che ha più che dimezzato la condanna inflitta, Francesco Vavalle ha lasciato il carcere e sconterà il resto della pena agli arresti domiciliari.