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Bari, gli arrestati al Riesame: nessun accordo con la mafia

 
Isabella Maselli

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Isabella Maselli

Bari, gli arrestati al Riesame: nessun accordo con la mafia

L’ex candidato Nacci (in tandem alle elezioni del 2019 con la moglie di Olivieri): «Non intendo proseguire la carriera politica»

Martedì 12 Marzo 2024, 13:18

BARI - A quindici giorni dagli arresti, gli indagati nell’inchiesta «Codice Interno» della Dda di Bari sulle presunte infiltrazioni mafiose nel tessuto economico e politico del capoluogo pugliese tornano davanti ai giudici. Ieri sono state discusse le prime nove istanze di Riesame presentate dagli arrestati che chiedono la revoca delle misure cautelari insistendo per l’inesistenza di accordi con la mafia. Due gli episodi portati all’attenzione dei giudici del Riesame: il presunto voto di scambio politico mafioso alle elezioni amministrative di Bari di maggio 2019 e l’asta giudiziaria per la vendita di un capannone a Matera che secondo l’Antimafia sarebbe stata pilotata dal clan Parisi.

Il cuore dell’indagine -. con riferimento alla prima vicenda - è l’ipotesi che l’ex consigliere regionale pugliese Giacomo Olivieri (finito in carcere) alle elezioni comunali di cinque anni fa abbia comprato i voti della mafia con buoni benzina, buoni spesa, denaro contante e promesse di posti di lavoro per far eleggere la moglie, Maria Carmen Lorusso (eletta nel centrodestra in una lista a sostegno del candidato sindaco Pasquale Di Rella e poi passata in maggioranza, ora ai domiciliari). Ed è questa l’ipotesi contestata ad alcuni degli arrestati la cui posizione è stata discussa ieri: Michele Nacci (candidato nella stessa lista di Mari Lorusso), Bruna Montani (parente del capo clan del San Paolo Andrea Montani «Malagnac»), il nipote Mirko Massari e Gaetano Strisciuglio (nipote del boss del Libertà). Tutti questi sono finiti in carcere. I difensori, gli avvocati Carlo Russo Frattasi e Giuseppe Giulitto, hanno sostenuto la insussistenza di un collegamento tra l’accordo elettorale e la mafia, nonostante le parentele. Per quanto riguarda la famiglia Montani, il legale ha ricordato il numero (esiguo) di voti che gli indagati sarebbero riusciti ad assicurare alla lista sponsorizzata da Olivieri («una trentina di voti»). Per Nacci, poi, il difensore ha spiegato che dopo le dimissioni di Lorusso, sarebbe dovuto subentrare lui in Consiglio comunale come primo dei non eletti ma ha formalizzato la sua volontà di «non proseguire la carriera politica». Quindi «non si comprende in che modo potrebbero, gli indagati, reiterare condotte analoghe» sostiene la difesa, chiedendo la sostituzione del carcere con gli arresti domiciliari e braccialetto elettronico.

La vicenda dell’asta giudiziaria, l’altra questione portata ieri in aula, è contestata a dieci indagati: Tommaso Lovreglio (figlio del boss di Japigia Battista), il pluripregiudicato di Altamura Giovanni Sforza e il sodale Giuseppangelo Barracchia (in carcere); ci sono poi gli imprenditori Giuseppe Petronella, Massimo Patella, Giuseppe Sette (che si sono aggiudicati l’asta), Roberto Paolicelli, Alberto Bellizzi e Francesco Frezza e l’avvocato Giandomenico Tafuni (tutti agli arresti domiciliari). Ieri in aula gli avvocati Donato Carlucci, Michele Laforgia e Raffaele Padrone hanno discusso le posizioni di alcuni degli imprenditori coinvolti, insistendo sulla assenza di esigenze cautelari (le posizioni di Frezza - per il quale il gip ha già rigettato la richiesta di revoca - e Bellizzi saranno discusse giovedì).

Intanto oggi sarà interrogato l’ultimo dei 135 arrestati finito in cella, Nereo Zanghi (difeso da Nicola Lerario), che era all’estero in Brasile quando è stata emessa l’ordinanza e sabato è rientrato in Italia per costituirsi.

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