BARI - Per ora non ci sarà alcun provvedimento immediato. Da escludere ordinanze, limitazioni o chiusure anticipate dei locali. «La sentenza in alcuni punti è abbastanza discutibile e di certo non possiamo cacciare la gente dalle strade», è il ragionamento che filtra in queste ore dai piani alti di corso Vittorio Emanuele. Ma la sentenza viene analizzata in tutti i suoi aspetti perché rischia di segnare una svolta giuridica, a favore dei cittadini, nell’eterna lotta tra gli eccessi della movida e il diritto al riposo.
Anche a Bari potrebbe esserci una sorta di effetto cascata all’indomani della sentenza della Corte di Cassazione che a fine maggio ha accolto il ricorso di una coppia bresciana. Marito e moglie che l’hanno spuntata contro la malamovida che per anni ha disturbato la quiete notturna sotto casa, nel cuore della città lombarda.
Secondo i supremi giudici i residenti dei quartieri della movida possono chiedere il risarcimento dei danni alle amministrazioni comunali «che non garantiscano il rispetto delle norme di quiete pubblica e di conseguenza non tutelino la salute dei cittadini».
Nel caso specifico il Comune bresciano dovrà pagare circa 50mila euro di risarcimento e adottare opportuni provvedimenti, tra cui un servizio di vigilanza serale che dal giovedì alla domenica e da maggio a ottobre (momenti nei quali gli schiamazzi si fanno più intensi sia per il weekend e sia per la bella stagione) monitori il livello di assembramento.
Insomma, un pronunciamento che farà sicuramente scuola e che a queste latitudini pugliesi sembra cucito addosso al caso dell’Umbertino, l’elegante enclave adagiato sul lungomare, nel quale va in scena da anni un braccio di ferro tra i residenti e i frequentatori dei numerosi locali, sfociato anche con un esposto in Procura. Schiamazzi, atti di vandalismo, danneggiamenti ai palazzi, risse e bivacchi che hanno fatto piombare nel caos queste graziose stradine incastonate tra i quartieri Murat e Madonnella, persino durante il periodo del Covid e delle regole anti-assembramento.
Un caso che al Comune di Bari conoscono da anni – numerose le segnalazioni e numerosi gli incontri – e che al momento si sta monitorando, come nel resto della città, con un piano di zonizzazione acustica, una serie di rilievi per quantificare l’inquinamento acustico, generato non solo dal traffico automobilistico e dal passaggio di treni e aerei (si pensi alla zona di Palese) ma anche dai rumori della movida.
L’obiettivo è mappare la città e adottare opportuni provvedimenti di mitigazione, specie nelle zone densamente abitate o a ridosso di luoghi sensibili come ospedali e scuole. Un piano dal quale l’amministrazione comunale potrebbe trarre alcune conclusioni, che nel caso della movida non si limitano solo all’Umbertino, ma che riguardano ad ampio raggio altre zone gettonate dal popolo della convivialità e dei cocktail come Bari vecchia e Poggiofranco. Ma non solo.
A ottobre scorso, all’indomani di un apposito comitato in Prefettura per l’ordine e la sicurezza pubblica, il sindaco Antonio Decaro rilanciò uno strumento normativo per trovare un punto di equilibrio tra i diritti dei residenti e la libertà di fare impresa nel settore della ristorazione. Si tratta del decreto legislativo numero 59 del 2010 (l’attuazione della direttiva Ue sui servizi nel mercato interno) che dà la possibilità ai Comuni di mettere dei paletti alle nuove aperture nelle zone di pregio storico, artistico architettonico e ambientale per ragioni di sostenibilità ambientale, sociale e di viabilità e per non ledere il diritto dei residenti alla vivibilità del territorio e alla normale mobilità.