BARI - «Noi due siamo cresciuti qui, in questo cimitero. Accompagnavamo nonno e papà. Imparavamo, giocando. Mi hanno assunto 28 anni fa, mentre mio fratello Vincenzo 22 anni fa». Carmelo Ciraudo, stringe tra le dita le foto di famiglia, mentre una brezza salmastra fa frusciare le siepi scolpite del Cimitero del Commonwealth di Carbonara, a 9 chilometri da Bari. Oggi è giorno di chiusura, ma per la «Gazzetta» hanno fatto un’apertura straordinaria. Unica concessione, dicono, «è che siamo in “abiti civili”, non indossiamo l’uniforme della Commonwealth War Graves Commission». Si tratta della Commissione che ha cura delle sepolture dei membri delle Forze Armate del Commonwealth caduti in battaglia o mentre prestavano servizio durante la guerra del 1939-45. A questi cimiteri e anche alle singole tombe sparsi per l’Italia, il nostro Paese riconosce uno status speciale. In virtù di un accordo del 27 agosto 1953 tra il Governo italiano (governo Pella) e i rappresentanti di «Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord, Canada, Australia, Nuova Zelanda, Unione del Sud Africa, India e Pakistan», il nostro Paese concede i terreni relativi gratuitamente e la Commissione però si occupa di sistemazione, costruzione, mantenimento e giardinaggio, a proprie spese.
Ecco, quindi, che i Ciraudo sono dipendenti della Commissione da tre generazioni. «Nonno Carmelo - spiega il nipote omonimo - era siciliano e lavorava per l’Ambasciata, per l’analogo cimitero che sorge in Sicilia, ad Agira, sin dall’immediato dopoguerra. Papà, Gaetano, lo aiutava e gli fu offerto di lavorare in questa necropoli di Bari. Era il 1972 ed era già sposato con mamma, Avellina Carmela. Si trasferirono e io nacqui qui, a carbonara, l’anno dopo. Nel ‘76 nacque mio fratello. E, negli anni Ottanta, anche nonno ci raggiunse per aiutare papà».
«Io sono capo giardiniere, Vincenzo è giardiniere. I “nostri” ci hanno insegnato tutto. E poi guardi - dice Carmelo girando piano su se stesso - questi risultati non si improvvisano». Ha ragione. Da un prato all’inglese smeraldo, spuntano filari di lapidi tutte uguali, inframmezzate da «1.400 piante di rose rosse, oltre a lavanda e altri fiori».
Una targa all’ingresso, spiega che qui sono tumulati 2.230 caduti, tra loro ragazzini di 19 anni e 171 militi ignoti. Le loro lapidi senza nome sono una accanto all’altra, sotto un grande platano la cui ombra pare proteggerli.
La quiete, l’ordine, la cura, hanno colpito anche l’ambasciatore britannico Edward Llewellyn. Sul libro dei visitatori, lo scorso 26 maggio, ha scritto «Riposate in pace in questo luogo meraviglioso. Mai dimenticati».