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Corato, morì dopo aver rifiutato trasfusione perché Testimone di Geova: marito chiede di riaprire inchiesta

 
GIUSEPPE CANTATORE

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GIUSEPPE CANTATORE

Corato, «Riaprite l’inchiesta sulla morte di mia moglie»

Salvatore Cialdella cita una sentenza della Cassazione: secondo lui la moglie si lasciò morire perché «plagiata» dalla sua comunità religiosa.

Mercoledì 01 Luglio 2020, 09:27

CORATO - «La Procura della Repubblica di Trani riapra l’inchiesta sulla morte di mia moglie». È l’appello lanciato da Salvatore Cialdella, marito di Maria Gentile, la donna coratina malata di cirrosa epatica che morì nel 2015 dopo aver rifiutato qualunque terapia prevedesse trasfusioni di sangue o emoderivati, per non contravvenire ai dettami dei Testimoni di Geova cui apparteneva.

Qualche mese dopo il decesso, avvenuto l’11 marzo, Cialdella presentò querela ai Carabinieri in quanto - secondo lui - la moglie si lasciò morire perché «plagiata» dalla sua comunità religiosa.

Dopo anni di indagini, nel novembre 2019 - nonostante l’opposizione formale del marito - il gip di Trani stabilì che non vi fossero elementi per ritenere che la morte della donna potesse essere sopraggiunta in conseguenza di pressioni o istigazioni e quindi archiviò il procedimento.

Ma per Salvatore Cialdella gli aspetti da chiarire sono ancora tanti.

Così nei giorni scorsi, ha scritto al procuratore capo della Repubblica presso il Tribunale di Trani, Renato Nitti, per chiedere di riaprire l’inchiesta. Nelle sue osservazioni, il marito della donna punta su una sentenza della Corte di Cassazione relativa alla richiesta di risarcimento danni morali avanzata da un membro dei Testimoni di Geova costretto a effettuare una trasfusione di sangue dopo un incidente stradale, nonostante avesse dichiarato espressamente di non volere tale trattamento.

«La domanda di risarcimento è stata rigettata dal tribunale e dalla Corte di appello e le motivazioni - scrive Cialdella al procuratore capo tranese - hanno stabilito la legittimità dell’intervento sanitario volto a salvargli la vita e che il diritto alla stessa fosse indispensabile e costituzionalmente garantito, tale che nessuno potesse disporne liberamente. La Corte ha evidenziato come il rifiuto della trasfusione fosse stato affrettato in un momento in cui le condizioni del paziente non apparivano poi così critiche e che, essendo stato acquisito al momento dei ricovero, non potesse ritenersi più operante».
Cialdella vuole capire anche «se la volontà di mia moglie sia stata realmente acquisita dei medici del reparto oppure se sia stata ritenuta sufficiente la firma da lei apposta sulla cartella clinica il giorno 20 febbraio 2015».

In più, aggiunge il marito della donna deceduta, «le osservazioni del giudice delle indagini preliminari a sostegno della volontà di rifiutare le cure escludono la necessità di una consulenza tecnica calligrafica per me indispensabile al fine di escludere possibili manomissioni della firma apposta da mia moglie».

In ultimo, conclude Salvatore Cialdella, «il dissenso espresso dalla mia consorte non può ritenersi attuale, effettivo e tantomeno inequivocabile, come deve essere secondo la Suprema Corte di Cassazione, in quanto è stato espresso sì per ben due volte, ma in un tempo piuttosto remoto».

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