«I bambini sono amati, adorati, vezzeggiati dalle madri, che trepidano per i loro mali, che li allattano per anni e anni, non li lasciano un minuto, li portano con sé, sulla schiena e sulle braccia, avvolti negli scialli neri, mentre, ritte con l’anfora in testa, vengono dalla fontana. Molti ne muoiono, gli altri crescono precoci, poi prendono la malaria, si fanno gialli e melanconici, e diventano uomini, e vanno alla guerra, o in America, o restano in paese a curvare la schiena, come bestie, sotto il sole, ogni giorno dell’anno».
Così raccontava la condizione dei bambini e dei contadini lucani nel 1946, Carlo Levi. Settant’anni fa. Mentre Ernesto De Martino spiegava che per salvare i bambini, le mamme ricorrevano al malocchio, alle historiole magiche della fascinazione, alle pratiche contro i vermi: «Fuggi capo verme tristo/ che ti perseguita Gesù Cristo».
Poi vennero i medici, gli ospedali, le medicine. Le cose cambiano e migliorano grazie ai governi democristiani e comunisti, ma non tanto da pareggiare il bilancio con il Nord. Come un’attrazione subita il Nord dall’Europa, il Sud dall’Africa e dal Mediterraneo. E se l’Africa ricorre ai rimedianti, il Sud invoca Padre Pio.
Nei cambiamenti della modernità però non riusciamo a stravolgere la condizione generale della medicina. Al Sud non si fa ricerca, tanto che l’anno scorso si provò addirittura a chiudere il Crob di Rionero, un ospedale oncologico che è anche un punto di ricerca sui tumori. Da trent’anni c’è una guerra sorda del Governo contro i piccoli ospedali zonali. Nonostante la venuta taumaturgica di illuminati come Fitto Vendola ed Emiliano, gli ospedali chiudevano i battenti, uno dietro l’altro. Ho perso il conto di quante strutture provinciali sono state chiuse. Non so fare la stima dei giovani medici in fuga verso il Nord e spaventati dall’idea di finire in un ospedale di paese. Un degrado! E un disastro. Al cui centro ci sono la disattenzione dello Stato verso i giovani e la morte in loro di ogni tensione ideale. E abbiamo pagato lo scotto nell’ultima pandemia.
Con che risultati? Che si è diffusa la credenza che per qualsiasi raffreddore bisognasse prendere un aereo o un treno e raggiungere Milano. Milano dei miracoli. Milano, la nuova Lourdes o la Medjugorie del 2000. Milano e la Lombardia che si riempiono degli oboli del Mezzogiorno e dei tanti disperati che cercano la mano benefattrice dei primari taumaturghi. E che hanno scatenato una credenza assurda: da Roma in giù la medicina è affidata a medici asini che somministrano non medicinali ma decotti di malva e di avena. Come la grandezza di un professionista stia nel fare numero nel formicaio dei soloni e non aiutare i pazienti di un mondo in ritardo.
Debbo dire purtroppo che in questi due anni di pandemia i medici di tutt’Italia si sono resi irreperibili. Bisognava rivolgersi a «Chi l’ha visto» per strappare una ricetta e non dico una visita. E non si offendano se faccio fatica ad annoverarli tra gli «eroi». Hanno chiuso gli studi e si sono dati alla latitanza, Chi più e chi meno. Neppure dieci telefonate bastavano per stabilire un contatto. E la gente moriva di disperazione, prima che di malesseri fisici. Nonostante l’ipocrisia dei Tribunali del Malato.
Debbo anche dire che la povertà quaggiù si fa sentire. Basti vedere i consensi e dissensi intorno all’Ilva e alla Fiat. Sia nelle metropoli che nei borghi perduti tra le montagne.
Il reddito di cittadinanza avrà prodotto forme di furberia ma ha anche impedito la rivolta sociale. Perché si muore di miseria sull’Aspromonte e nei rifugi della Sicilia, nei borghi cimiteriali della Campania. Da dove ce ne vuole per raggiungere un ospedale metropolitano. Dove le mamme hanno perso ogni abitudine a rivolgersi alla Sanità se non in casi disperatissimi. Perché la Sanità è lontana e sanno che nessuno le ascolta. L’ho verificato nei giorni scorsi. Avevo un parente in un ospedale lucano, rotto di gambe.
Volevo stabilire un contatto con il primario che lo ha operato a tibia e perone. Sono morto di rabbia e di attese telefoniche ma il genio si è negato e nessuno mi ha parlato. Il presidente Vito Bardi, illuminata espressione della politica lucana, ha emanato un decreto: vietato incontrare e parlare ai parenti dei pazienti! Che crepino!
Che sanità è questa? E che sanità abbiamo se le regioni, i boiardi regionali si arrogano il diritto di mettersi contro il Ministero della Sanità? Una guerra sorda. Nella quale chi paga sono i cittadini. E dove ancora non riusciamo a risolvere questioni di fondo nella generale fuga dalla maternità, come faranno le donne di colore che ospitiamo nei Centri di accoglienza e che sono ormai le sole prolifiche a figliare se vivono nella merda, nella clandestinità, se temono di autodenunciare il proprio stato di gravidanza? Come faremo se il divario tra Sud e Nord è un divario di indigenza, di alfabetizzazione, di strutture ospedaliere e di asili, di formazione e di cultura?
Tra l’età di Zanardelli, Coppino e Nitti e la nostra mutamenti ci sono stati, sì, ma se ancora abbiamo bisogno di gruppi politici come i neoborbonici, perché qualcuno ci dia retta, è segno che di strada ce n’è ancora da fare.