Sarà dipeso dal Covid. Sarà dipeso dalla fuoriuscita di Donald Trump. Sarà dipeso dalla battuta d’arresto del fronte sovranista in Europa. Sarà dipeso dall’effetto Draghi. Sta di fatto che oggi il quadro politico italiano sembra irriconoscibile rispetto al dipinto di un anno addietro. Due novità su tutte: nella Lega comanda sempre Matteo Salvini, ma la linea è quella, moderata ed europea, di Giancarlo Giorgetti, che tifa per Draghi più di quanto il leader leghista tifi per il Milan. Nel centrosinistra i Cinque Stelle restano il primo partito, ma hanno edulcorato assai i loro proclami anti-sistema. Un anno fa, il processo di grillinizzazione del Pd pareva più inarrestabile della corsa dell’Inter di Conte verso lo scudetto 2021. Nessuno metteva in dubbio quel processo, anzi quasi tutti ravvisavano una sorta di complesso di inferiorità dei «dem» nei confronti delle più mediatiche sfide politico-programmatiche care al M5S. Oggi il quadro appare letteralmente rovesciato.
Anche se il Pd non procede come una falange macedone, perché diviso al proprio interno tra numerosi micro-feudi intenti a rivaleggiare e sgambettarsi di continuo, tuttavia adesso sono i «dem» a dettare la linea nell’alleanza con i Cinque Stelle. Che sono un’altra cosa rispetto al MoviMento populisteggiante di qualche mese fa.
Basti pensare alle correzioni, a volte autentiche inversioni a U, delle posizioni grilline in materia di politica estera. E non solo. Basti pensare alle dichiarazioni di Luigi Di Maio, tese a disegnare e prospettare un partito liberal moderato, che tanto hanno impressionato (favorevolmente) il ministro Renato Brunetta. Insomma.
Nicola Zingaretti non passerà alla storia come il segretario dem più fantasioso di sempre. Ma l’inversione dei pesi e delle strategie tra M5S e Pd è avvenuta sotto la sua direzione, il che non rappresenta un magro bilancio per la sua stagione al vertice dei dem.
Ora è il turno di Enrico Letta, il cui credo, la cui storia politica fino a poco tempo fa sarebbe stata per nulla compatibile con il grillismo primordiale e adolescenziale. Idem, per certi versi, per il M5S. Se c’era un big del progressismo italico giudicato lontano per stile e contenuti dai maggiorenti di Grillo, questi era Enrico Letta. Invece, come accade spesso nella vita e in politica, le cose cambiano e l’impossibile diventa prima possibile e poi addirittura fattuale (Maurizio Crozza show). Tanto che oggi il Garante del M55 può essere ritenuto il principale sostenitore del governo giallorosso guidato da Mario Draghi e, di conseguenza, pure della segreteria Letta. Il cui compito principale, al di là dell’obiettivo di neutralizzare il correntismo interno al partito e di ricomporre le scissioni a destra e a sinistra che hanno caratterizzato gli ultimi anni del Pd, dovrà essere quello di completare la conversione dell’alleato pentastellato alla causa del riformismo europeo ed europeista.
Perché è importante che Letta, senza patire complessi ed esitazioni di alcun genere, riesca nell’intento di lettizzare, cioè di europeizzare, l’intero MoviMento? Lo è perché, soltanto in tal modo, sarebbe possibile risparmiare definitivamente all’Italia il tentativo di rivincita - che prima o poi si rivedrà - da parte dei filoni sovranisti e populisti, oggi in palese fase di arretramento. Lo è perché, soltanto in tal modo, sarebbe possibile riprendere, in senso maggioritario anziché assembleare, il filo della matassa delle riforme istituzionali ed elettorali. Non è un caso che il maggioritarista Letta si dichiarasse favorevole alla revisione costituzionale proposta dal suo arcinemico Matteo Renzi e affossata dagli elettori nel referendum di dicembre 2016.
L’architettura dei poteri in Italia è parecchio sbilanciata: debole il premier, chiunque egli sia (attendiamo comunque di vedere il consuntivo di Draghi); fortissimi i presidenti delle Regioni e i sindaci. Bisogna ridare vitamine alla figura del presidente del Consiglio, per evitare instabilità operativa e condizioni di inferiorità oggettiva dei governi italiani al cospetto dei governi stranieri. La soluzione Letta nel Pd agevola questo percorso, così come rafforza, dopo lo sbarco di Draghi a Palazzo Chigi, il radicamento dell’Italia in Europa. Ma la strada di Letta è tutt’altro che in discesa. Liste elettorali bloccate e riduzione del numero dei parlamentari non renderanno facile la vita del neosegretario del Pd.