Come sia stato possibile dar vita a un governo formato da due forze antagoniste, rimane tuttora un enigma più indecifrabile del manoscritto di Voynich che da più di un secolo vede impegnati studiosi e ricercatori nella decodificazione di questo strano, misterioso volume pieno di figure cosmologiche e irreali, e per di più scritto in una lingua incomprensibile. Ma l’Italia ci ha abituato a tutto, pure ad assessori regionali che, lo stesso giorno, voteranno a destra e a sinistra.
A dire il vero c’era un minimo comune denominatore tra Movimento Cinque Stelle e Lega: la diffidenza, se non la contrarietà, nei confronti dell’Unione Europea.
Ma, su tutto il resto, dall’economia alla sicurezza, dall’immigrazione al Mezzogiorno, dalla Rai alla giustizia, le distanze tra Luigi Di Maio e Matteo Salvini erano e restano più lunghe di quelle tra la Groenlandia e la Nuova Zelanda. Pareva che, strada facendo, gli opposti punti di vista si sarebbero limati e che il mastice del potere avrebbe compiuto il miracolo di una pur sofferta collaborazione. Pareva. Invece, la coesistenza tra i due sottoscrittori del contratto di governo si sta rivelando sempre più insostenibile, per i diretti protagonisti e, soprattutto, per i loro elettorati di riferimento.
Ormai i due litigano su tutto. Manca solo che si accapiglino sulle previsioni del tempo o sugli Internazionali di tennis a Roma. Ma non è detto che anche questi due temi non diano adito a un supplemento di fuoco incrociato.
Il capolinea dell’attuale governo quasi certamente coinciderà con il voto europeo del 26 maggio. Sono molti, ormai, gli indizi che inducono a ritenere inevitabile, per quella data, lo stop al governo in carica.
Uno. I governi figli di un sistema elettorale proporzionale di solito non oltrepassano mai la durata di 9-10 mesi. E l’esecutivo Conte si accinge a festeggiare il suo primo anno di vita, per giunta in coincidenza con un rilevante test elettorale.
Due. Ci sono materie, come l’autonomia differenziata tra le Regioni, su cui non si intravvede alcun compromesso, compromesso che neppure un mediatore di professione riuscirebbe a far ingoiare ai due partiti «alleati». Infatti, l’ala nordista della Lega non intende fare sconti, pena il via libera al malcontento ufficiale verso il Capitano. Ma il M5S tutto potrebbe concedersi tranne che distrarsi sui superpoteri alle Regioni del Nord voluti con insistenza dal presidente veneto Luca Zaia.
Tre. Si stanno avvicinando le scadenze delle cambiali da pagare. Le cambiali dei governi si chiamano clausole di salvaguardia. E quelle sottoscritte finora (non solo dalla squadra di Conte) fissano in 53 miliardi di euro la somma da reperire in due anni. Roba da infarto per i contribuenti, sui quali ricadrà il peso delle prossime manovre. Chi sarà così coraggioso, al governo, da sfidare l’ira popolare che, quasi certamente, si scatenerà dopo il varo dei provvedimenti? Meglio, molto meglio, affidare a qualche compagine tecnica il compito di presentarsi davanti agli italiani con le forbici e il martello nelle mani. Anche perché non sarà possibile chiedere clemenza all’Europa, visto che pure le nazioni solitamente fiacche stanno correndo più di noi. Non parliamo poi degli Stati cosiddetti sovranisti che, come dice la parola, amano soltanto se stessi e tutto vogliono tranne che soccorrere chi chiede aiuto.
Quattro. A furia di litigare, anche i rapporti umani più consolidati si logorano. Figuriamoci i rapporti personali nati da combinazioni momentanee o da convenienze provvisorie, com’è nel caso dei due vicepremier italici. Di Maio ha picchiato duro su Salvini a proposito del caso Siri. Salvini va pesante contro Di Maio sull’esperienza della Raggi a Roma. Né è pensabile che i due leader siano così bravi nel gioco delle parti da non far scoprire la loro (presunta) complicità sotterranea. Quando gli scontri diventano le regola e quando scendono in campo i rispettivi eserciti, c’è poco da nascondere. Addio dietrologie. Meglio affidarsi all’avantologia, che spiega tutto senza il bisogno di ricorrere a interpreti e retroscenisti d’occasione.
Cinque. Su questione morale e conflitti di interesse i due soci al governo se le danno di santa ragione che manco ai tempi di Bettino Craxi (1934-2000) e Antonio Di Pietro. Il che rende pressoché irrealistica qualsiasi ipotesi di tolleranza reciproca.
Sei. Ogni elezione, anche la più piccola, provoca più crepe di un terremoto in una coalizione di governo. Se poi è in ballo qualcosa di grosso, le crepe si moltiplicano. In passato le consultazioni europee non erano il replay del giudizio universale. Adesso, però, ci siamo, o quasi. Mai come stavolta si vota sul serio per l’Europa e, di conseguenza, anche per gli equilibri interni di ogni Stato dell’Unione. E nessuno può permettersi di scivolare sul più bello.
Certo, la paura di perdere potere e di affrontare l’ignoto delle elezioni anticipate potrebbe consigliare anche agli irriducibili una linea più soffice. Ma quando i motivi di scontro si decuplicano ogni giorno, la situazione è destinata a sfuggire ad ogni controllo e nemmeno un organigramma di nomine condiviso da tutti riuscirebbe, come si dice, a rimettere il dentifricio nel tubetto.