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Importare sistemi giuridici non modelli politici

 
Giuseppe De Tomaso

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Giuseppe De Tomaso

De Tomaso da oggi in Rai  ricorda i giorni della Storia

«Sostiene Matteo Salvini: le politiche economiche, approvate dall’Europa, degli ultimi governi hanno fatto sempre fiasco, anche per questa ragione adesso bisogna provare a fare il contrario»

Giovedì 15 Novembre 2018, 16:19

Sostiene Matteo Salvini: le politiche economiche, approvate dall’Europa, degli ultimi governi hanno fatto sempre fiasco, anche per questa ragione adesso bisogna provare a fare il contrario. Il ragionamento potrebbe essere più liscio di un biliardo se davvero le politiche economiche degli ultimi governi avessero dato esempi di discontinuità, chiudendo, ad esempio, i rubinetti della spesa pubblica e dell’assistenzialismo strutturale. Invece, anche gli esecutivi del recente passato si sono distinti nel regalare soldi alle minoranze più rumorose e protette. Di conseguenza al debito pubblico non si è mai data una calmata.

Ora, anziché invertire la rotta e resistere alle tentazioni di una democrazia acquisitiva sempre più famelica, si ritiene di poter ridestare l’economia italiana sottoscrivendo altre cambiali su cambiali per distribuire soldi, cioè sussidi, a man bassa. Roba che, in una famiglia normale, significherebbe rovina automatica. Ma lo stato non è un’entità diversa dalla tipica famiglia composta da genitori e figli. Indubbiamente ha più chance (e potere), lo stato, per aggirare il rispetto del debito, ma questi slittamenti non possono durare all’infinito, né può lo stato ricorrere disinvoltamente al binomio svalutazione-inflazione (pena la rivolta generale) e neppure può decidere a cuor leggero un prelievo improvviso dai patrimoni privati, che già si autoalleggeriscono (trasferendosi all’estero) alle prime avvisaglie di stangate in arrivo.

Cambiano i sistemi elettorali, si rovesciano le alleanze, spuntano nuove formazioni politiche, ma, gira e rigira, il problema non cambia, anzi la situazione s’aggrava: la gara, il vero bipolarismo, tra le forze in campo, in Italia, verte su chi spende di più. Chi promette di spendere di più, ciascuno con un occhio rivolto al proprio elettorato di riferimento, ha ottime probabilità di impossessarsi delle chiavi d’accesso alla sospirata «stanza dei bottoni».
Il che induce a concludere che non va cercata nel rinnovamento della classe politica e neppure nel cambiamento delle regole del gioco elettorale la password per rimettere in sesto l’Azienda Italia.

L’unica speranza di ridare linfa a una nazione sempre più fiacca risiede forse nel ribaltamento del sistema giuridico e giudiziario, ma la sua riforma - ecco il punto - richiederebbe una volontà politica di cui oggi non si ha sentore.
La tradizione giuridica della Penisola, diretta emanazione del diritto romano, è sinonimo di profonda civiltà. Non si contano gli stati (moderni) che si sono ispirati ai giuristi dell’Urbe. Ma mentre il sistema giuridico anglosassone ha mutuato dal diritto romano doc soprattutto la voglia di concretezza, il sistema legale italiano ha preferito adeguarsi alla variante bizantina dell’imperatore Giustiniano (482-527), più attenta alla logica della procedura che all’esigenza del risultato.
La common law, in auge a Londra, si fonda sul principio degli accordi tra le parti, mentre l’iper-regolamentazione, figlia di Bisanzio, si basa essenzialmente sul rispetto assoluto della lettera. Ma a furia di regolamentare a oltranza si finisce per ridurre la libertà, oltre (si capisce) ad allungare i tempi della giustizia e delle decisioni. Il che, specie in economia, rappresenta un limite insidioso. Non è un caso che i Paesi retti dalla common law abbiano, a parità di condizioni di partenza, ritmi di crescita più alti rispetto agli stati provvisti di ordinamenti basati sulla civil law. L’efficienza di un’architettura giuridica costituisce la premessa per lo sviluppo di una nazione.
Gli italiani hanno mille difetti, ma fra questi non rientra certo lo scarso spirito di iniziativa. Anzi. Lo spirito imprenditoriale della Penisola non si è mai afflosciato, ma è frenato da un groviglio di lacci e lacciuoli tutti riconducibili all’egemonia del positivismo giuridico, che fa da barriera anche per gli investitori stranieri più ardimentosi.

Si dice o si consiglia: importate in Italia il sistema politico-elettorale della Gran Bretagna e risolverete i vostri problemi. No, grazie. Già dato. Piuttosto si dovrebbe dire: importate in Italia l’ordinamento giuridico inglese e aspettate gli eventi. Di sicuro, con quest’utima opportunità, qualcosa cambierebbe, come dimostra proprio il caso inglese.
Londra attira imprenditori e uomini di finanza come le mosche. Li avrebbe sedotti come la maga Circe se li avesse accolti con un sistema giuridico all’italiana, di fatto congeniale alla cultura della lentezza? Bah. Se importasse un ordinamento giuridico mediterraneo, molto probabilmente il Regno Unito, la cui popolazione non brilla per dinamismo, si impoverirebbe in pochi mesi. Viceversa, se adottasse il sistema giuridico britannico, l’Italia - dotata di una riconosciuta propensione imprenditoriale - quasi certamente scalerebbe l’hit parade della ricchezza, bissando il «miracolo economico» del secondo dopoguerra.
Ma l’import del diritto di natura giurisprudenziale in versione britannica non è all’ordine del giorno e forse non lo sarà mai. Pertanto la civil law continuerà a sfornare all’infinito politiche regolatorie, anziché risolvere in tempi rapidi i conflitti tra le parti, che ritardano gli investimenti peggio di un terremoto. E l’Italia rimarrà a discutere su come rimettere in moto la macchina. Ovviamente moltiplicando le voci e gli enti di spesa.

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