Quella che si apre oggi è una settimana molto delicata per il Governo. In serata il Consiglio dei Ministri dovrebbe esaminare il testo del decreto fiscale, mentre nei prossimi giorni la manovra economica, unitamente al Draft Budgetary Plan, verrà presentata ai partner europei. Un atto non certo simbolico. Al contrario, dal forte valore sostanziale, a maggior ragione dopo il triplice richiamo fatto da Fmi, Bce e Ue.
Partiamo dal decreto fiscale. Tra Movimento Cinque Stelle e Lega le trattative andranno avanti fino all’ultimo minuto. Motivo sufficiente per usare il condizionale, almeno relativamente a modalità e tempi di approvazione. Fra i due contraenti del patto di governo esistono molte differenze soprattutto in materia di politica economica.
Il fisco, fonte determinante per le coperture finanziarie, è uno dei temi che dividono di più. Da un lato c’è la volontà di connotare la manovra in senso marcatamente assistenziale, come dimostra la determinazione di Di Maio in favore di reddito e pensione di cittadinanza (ieri il premier Conte ha precisato che le offerte di lavoro dovranno avvenire anche su base regionale). Dall’altro c’è la necessità di dimostrare che la riduzione della pressione fiscale, indicata in campagna elettorale come priorità assoluta attraverso la promessa d’introduzione della flat tax, non è percorso impraticabile, ma solo più difficile da realizzare prescindendo dal principio di gradualità. Da più parti è stato ricordato che ampliare a 65.000 euro il tetto di fatturato fino al quale è possibile rientrare nel regime forfettario dei minimi è una scelta difficilmente denominabile come flat tax in senso tecnico.
L’ampliamento interessa una platea di poco meno di 600 mila partite IVA individuali. Numeri delle dichiarazioni fiscali alla mano, Il Presidente del Consiglio Nazione dei dottori commercialisti e degli esperti contabili Massimo Miani, in occasione della Conferenza Nazionale svoltasi lo scorso week end ad Agrigento, ha dimostrato che sono 315.000 le partite IVA individuali con fatturato compreso tra i 65.000 e i 100.000 euro per le quali potrebbe diventare addirittura più conveniente ridurre il proprio fatturato e logicamente i propri costi. Insomma, ci si potrebbe fermare a 65.000 euro pur di rientrare nel regime forfettario. Una decisione quest’ultima non proprio compatibile con gli obiettivi di crescita economica di cui più volte è stata evidenziata l’urgenza con riferimento soprattutto al tema degli investimenti. Quanto alla pace fiscale, tre dovrebbero essere gli scaglioni di pagamento, stando a ciò che ha dichiarato sabato scorso il sottosegretario Siri: al 6, al 10 e al 25% a seconda della posizione patrimoniale e reddituale del contribuente che ne fa richiesta. Un modo per evidenziare, soprattutto a fini comunicativi, che non si tratta di provvedimento immaginato per gli evasori, ma di misura utile per chi si trova in difficoltà economiche. Attenzione: si potrebbe trovare un compromesso su l’aliquota unica del 25%. Si annuncia battaglia fra Cinque Stelle e Lega sul tema delle “dichiarazioni integrative speciali”, in pratica su ciò che nel gergo mediatico viene chiamato condono. La differenza con la rottamazione è evidente. Nel primo caso si paga solo una piccola porzione delle imposte e si crea uno scudo rispetto agli accertamenti futuri (con ricadute anche sotto il versante della non punibilità in sede penale). Nel secondo caso, invece, si paga l’intera imposta dovuta. I Cinque Stelle puntano ad una sanatoria totale per i debiti sotto i mille euro per multe, bolli, tassa rifiuti relativi al decennio 2000-2010.
Veniamo ora al rapporto conflittuale con l’Europa. Un conto è il braccio di ferro al quale siamo stati abituati negli ultimi anni, altro è il corto circuito istituzionale fra Roma e Bruxelles innescato in questi giorni. Ridurre il tasso di pregiudizio da entrambi i fronti (quello europeista e quello sovranista) non solo si può, ma si deve. Da una parte occorre che l’Italia valuti i rischi di un isolamento europeo, dall’altra la Ue deve evitare di considerare ogni uscita pubblica del Governo gialloverde come l’occasione per sferrare attacchi alla credibilità del nostro Paese. Se il Ministro Tria, che sta svolgendo un’importante azione di mediazione interna ed esterna all’esecutivo, dichiara che i finanziamenti continuano ad arrivare, che le aste si svolgono regolarmente e che gli investitori non si sono allontanati, bisogna credergli. I mercati reagiscono alle dichiarazioni dei rappresentanti dei Governi nazionali, alle indiscrezioni fatte circolare a fini politici, ma anche ai commenti delle istituzioni internazionali, specie quando essi non provengono da un esame approfondito dei provvedimenti o cavalcano ipotesi infondate, come per esempio l’uscita dall’euro.
Ripartiamo dai fondamentali. Nelle democrazie rappresentative il Governo è espressione di una maggioranza parlamentare frutto del voto dei cittadini. Lo scorso 4 marzo gli italiani hanno premiato M5S e Lega, partiti che si erano presentati con programmi molto chiari in ordine a politica economica e sicurezza. E’ loro dovere mantener fede agli impegni assunti. Se non lo facessero sarebbero inadempienti nei confronti dei propri elettori. Si può discutere sul “come”, ma non sul “se” realizzare le riforme per le quali grillini e leghisti hanno ricevuto il mandato ad accelerare il cambiamento. Prescindere da questa verità significa annullare il valore delle elezioni. La narrazione del fronte europeista è stata debole e poco compatibile con le esigenze dello sviluppo economico, lasciando campo libero a quanti, approfittando di questa situazione, hanno rafforzato nella sfera pubblica mediata il convincimento che dopo i diktat provenienti dall’esterno era finalmente arrivato il momento della difesa degli interessi nazionali. Alla luce di queste considerazioni si fa fatica a capire l’utilità dell’accerchiamento di un Governo legittimato da un voto popolare e accreditato di percentuali che vanno oltre il 60%. Si fa fatica a capire le ragioni della sottovalutazione da parte del fronte europeista dell’effetto boomerang che si innesca a seguito di un approccio cosi rigido e persino così pieno di pregiudizi. Il crollo in Baviera di Csu ed Spd e l’affermazione dei Verdi e dell’ultradestra dell’Afd rappresentano un segnale molto chiaro.
Il buon senso vuole che l’interlocuzione fra Italia ed Europa avvenga nel rispetto reciproco. Strada da preferire a quella della reciproca delegittimazione. Ben vengano i conti con la realtà, ma prima c’è il diritto di un popolo di scegliere da che parte andare.