Quando Matteo Renzi profetizza che «sarà un boomerang questo clima giacobino anti Pd» e si ritorcerà contro i «presunti rivoluzionari», forse farebbe meglio a preoccuparsi dei fischi tributati dai cittadini ai rappresentanti del suo partito durante i funerali di Genova piuttosto che prendersela con «il governo che passa la settimana a dare la colpa ai governi di prima». Altrimenti, l’ex premier rischia ancora una volta di confondere la causa con l’effetto. E soprattutto di commettere lo stesso errore degli aristocratici francesi che sottovalutarono i moti del 1789, mentre il regno di Luigi XVI entrava in crisi e sua moglie Maria Antonietta di fronte alla rivolta del popolo affamato pronunciava la celebre frase «se non hanno più il pane, mangino le brioche», fino a essere entrambi condannati a morte e decapitati.
Fu proprio il malcontento diffuso, contro le resistenze dei ceti nobiliari a ridurre i propri privilegi e ad accettare le richieste popolari di maggiore rappresentanza politica, a mettere sotto accusa il sistema dell’ancien régime.
Un malcontento analogo per certi versi a quello che alle ultime elezioni politiche ha portato al governo i populisti italiani. Contro la cosiddetta Casta; contro l’establishment; contro l’intera classe dirigente: i politici, gli imprenditori e anche i giornalisti, accusati spesso di farne parte integrante.
Agli occhi dell’opinione pubblica nazionale, il crollo del ponte Morandi raffigura emblematicamente il crollo di un vecchio regime consociativo, post-democristiano e post-comunista, che a torto o a ragione viene identificato con il Partito democratico. Quel sistema politico che ha svenduto il patrimonio dello Stato e ha messo in atto da Genova a Taranto le «privatizzazioni selvagge», come quella della rete autostradale o della siderurgia, senza vigilare adeguatamente sul rispetto delle condizioni e degli impegni da parte dei concessionari. Un ancien régime, appunto, a cui Renzi – se non altro per ragioni d’età – certamente non appartiene, ma di cui l’ex rottamatore è diventato suo malgrado l’ultimo epigono e il responsabile finale, anche a causa dei propri errori, colpe e omissioni.
La verità è che oggi il Pd, più che un partito, cioè un luogo politico di confronto e di aggregazione, appare una nomenklatura, con la «k»: come la gerarchia dei grandi burocrati che nell’ex Unione Sovietica era caratterizzata dall’immobilismo e dalla mancanza di ricambio. Un apparato di potere e sottopotere, incline più a tutelare se stesso che i cittadini elettori. Un «partito senza popolo, presuntuoso e saccente», per citare la definizione di Nadia Urbinati, politica e giornalista, su La Repubblica.
Saranno pure «giacobini», allora, quelli che oggi attaccano il Pd. E non si può escludere magari che in futuro il boomerang gli si ritorca contro, come già pronostica Renzi. Ma nel frattempo un’opposizione democratica dovrebbe essere capace di preparare e offrire un’alternativa, seria e credibile, piuttosto che ripiegarsi su se stessa in una sindrome di cupio dissolvi, aspettando che prima o poi il nuovo regime crolli per la propria incapacità e impotenza. Per battere i «presunti rivoluzionari», bisogna riuscire a rimuovere le cause che li hanno portati a prendere la Bastiglia, a occupare il Parlamento e il governo, a conquistare legittimamente il potere con il consenso popolare. Sarebbe necessario, insomma, un «fronte repubblicano» – per riprendere l’auspicio dell’ex ministro Calenda – più ampio e articolato del centrosinistra tradizionale, in grado di elaborare e proporre una visione, un progetto di società più equa e solidale.
Proprio una riforma delle «privatizzazioni selvagge», al di là delle opportune sanzioni e delle eventuali revoche, potrebbe essere un primo passo per ridefinire i rapporti economico-sociali tra lo Stato e gli imprenditori. Questo parametro non dev’essere soltanto il profitto. Quando si tratta di infrastrutture strategiche e opere pubbliche come le autostrade, le ferrovie o le reti di telecomunicazione, occorre rispettare un equilibrio tra l’efficienza e la sicurezza, tra gli interessi dei gestori e le esigenze degli utenti, tra gli utili dei concessionari e i diritti dei cittadini.
Per dirla con una battuta, ispirata dalla storica e infelice frase di Maria Antonietta, bisogna dare il pane alla popolazione, non le brioche. E cioè, assicurare il lavoro, la casa, l’assistenza sanitaria e gli altri servizi essenziali. Il giacobinismo, come la Storia insegna, portò prima alla Rivoluzione; poi alla nascita della Repubblica francese, all’insegna del motto nazionale «Liberté, Égalité, Fraternité»; e infine al Regime del Terrore e alla dittatura di Robespierre. A distanza di oltre due secoli, nella prospettiva di superare il nostro ancien régime, dovremmo cercare - tutti insieme - di evitare intanto un epilogo violento e autoritario.