Cosa succede quando il cuore non trova un ritmo stabile, quando ogni emozione pulsa fuori tempo e ogni respiro è un interrogativo? Nasce «Aritmia», il primo album di Lauryyn, in uscita domani, 23 maggio, per Sun Village Records e distribuito da The Orchard. Un progetto intenso, raffinato, interamente prodotto dal fidato Filippo Bubbico, già anticipato dai singoli «Londra» e «Doppio Fine». Aurora De Gregorio, questo il vero nome dell'artista salentina, si è già imposta come una delle voci più autentiche e brillanti del panorama nu soul italiano. Dopo l'EP «Intro» (2023), che ha fatto parlare di sé anche per la sua versione live e per le apparizioni in Skam Italia 6 (Netflix), «Aritmia» segna un salto di qualità netto, consapevole, costruito su una scrittura introspettiva e una produzione sofisticata che fonde jazz, R&B ed elettronica sperimentale.
Ogni canzone è un frammento di un’indagine interiore, uno specchio in cui molti giovani oggi possono riconoscersi. I suoi testi parlano di solitudine, radici, legami familiari, amore, confusione, con una sensibilità fuori dal comune. Ma non c’è autocommiserazione: c’è desiderio di comprensione, voglia di trasformare il disagio in bellezza, l’irrequietezza in ritmo. Lo stesso ritmo che propone nei suoi live, qui il calendario dei concerti, in continuo aggiornamento: 5 giugno – Forlì - Vistamare; 13 giugno – Roma, Monk - R&B Takeover Fest; 27 luglio – Torre Santa Susanna (BR) - Bembè Music Fest; 28 luglio – Sala Consilina (SA), FRITZ Festival.
Il titolo dell’album richiama un battito irregolare. Cosa l'ha spinta a usare una metafora così fisica per raccontare un percorso così emotivo?
«Sento molto quello che scrivo, fisicamente. Mi è sempre piaciuta la parola "Aritmia" in quanto molto evocativa, immediata, intima. Rispecchiava perfettamente l’immaginario del disco, l’andamento irregolare dei brani a seconda dell’emozione che si vive, affanno e quiete che si alternano».
Ha detto che ogni brano è un frammento della corsa verso una verità. Cosa ha scoperto su di lei mentre scriveva questo disco?
«Che spesso non c’è nessuna verità da cercare, vivere in maniera più profonda possibile. Non siamo disposti a credere che abbiamo tutto davanti agli occhi».
In «Londra» la fuga sembra una forma di autoconoscenza, ma anche una trappola. Fuggire da sé è sempre una sconfitta?
«No, se sei consapevole che hai solo bisogno di tempo per affrontare qualcosa o te stesso. La resa dei conti alla fine arriva sempre».
In «Doppio Fine» affronta il pregiudizio e la distorsione dell’intenzione femminile. Com’è stato scrivere un testo che espone con ironia qualcosa di così serio?
«È stato divertente. Fraintendere le intenzioni di una persona è un qualcosa che accade spesso nella sfera sociale ed è una sensazione che mi ha dato spunto per scrivere un pezzo. Non volevo farne un dramma, volevo rappresentare questo tema con sarcasmo, un po' per deridere quel prototipo di persona che tende a sessualizzare qualsiasi cosa, finendo per fraintendere la personalità dell’altro».
Ha parlato spesso di fragilità non come difetto, ma come lente attraverso cui leggere il mondo. Quanto è stato difficile mostrarla apertamente nella sua musica?
«Non troppo perché esternare i miei punti deboli mi ha fatto scoprire che sì, ti stai mettendo a nudo, ma c’è chi condivide le tue sensazioni. E poi cantarle è un godimento, le rende ancora più reali, e se una cosa la puoi toccare e la vedi chiaramente, la puoi distruggere».
C'è un legame forte tra produzione e contenuto. Come ha lavorato con Filippo Bubbico per far dialogare sonorità e parole?
«Con la maggior parte dei brani è stato facile trovare il giusto vestito, perché nella loro forma embrionale avevano già una direzione, un immaginario. Alcuni ci hanno sfidato di più con la ricerca dei suoni e la produzione in generale, ma c’è molta intesa fra me e Filippo per quanto riguarda il sound, siamo spesso d’accordo su tutto, anche quando ci siamo trovati a buttare tutto giù un arrangiamento e ripartire da zero».
Il disco alterna momenti contemplativi ad altri più frenetici. Quanto la rispecchia questa alternanza, anche fuori dalla musica?
«Moltissimo. Sono spesso preda di altalene emotive. Sto lavorando per cercare di essere un po' più centrata».
Cosa spera che le persone sentano – o capiscano – quando ascoltano Aritmia dall’inizio alla fine, tutto d’un fiato?
«Spero solo che arrivino autenticità e passione».
















