Craig Gillespie e Steven Rogers sono affascinati dalle vite rocambolesche. Dopo la pattinatrice Tonya Harding (Tonya) e la coppia Pamela Anderson-Tommy Lee (Pam& Tommy), si interessano alla parabola esistenziale di Mike Tyson: nascita, esplosione e implosione di un pugile psicologicamente fragile e fisicamente brutale. Basata sul one-man-show autobiografico (Undisputed Truth) che Tyson portò a Broadway nel 2012, la miniserie su Disney + ripercorre l’infanzia (infelice), la giovinezza, la formazione, il successo e le cadute dell’inarrestabile campione. Il punto di vista è il suo. Quello di un bambino bullizzato che scopre il rispetto a colpi di pugni, e quello dell’uomo che diventerà, bestia da fiera manipolata dal suo entourage e condannata per stupro dal tribunale.
La serie cerca di spiegare le origini di Tyson, il suo percorso ma soprattutto la sua rabbia, improntando un racconto in antitesi col biopic consensuale hollywoodiano. Diversamente da Alì, Mike morde e non solo l’orecchio di Evander Holyfield. L’episodio è citato in esergo come un avvertimento dell’orrore a venire, non un’ode alla sua gloria e nemmeno una satira del suo declino. Attraverso un approccio pop, che coglie gli eccessi e l’energia del suo personaggio, Mike arriva all’essenza del «mostro» che mette in scena, una terrificante e incontrollabile macchina da pugni in equilibrio instabile tra fragilità estrema e aggressività smisurata.
Alla fine degli 8 round, resta la solitudine del pugile, attore e vittima di un sistema che non ha pietà, resta un bilancio di passivi e di rimorsi che lo inchiodano alla sua miseria. Trevante Rhodes, l’attore di Moonlight, è Mike e ancora una volta la versione adulta di un bambino martirizzato che non ha mai finito con la collera.