«Lo scontro via via più acceso tra Tiziano e Cosimo Nardelli dava luogo a una escalation di rivendicazioni che prendendo le mosse da una serie di avvertimenti velatamente intimidatori (…) si evolveva poi sino all’esito letale per la vittima». È quanto hanno scritto i giudici della Corte d’assise di Taranto che ieri mattina hanno depositato le motivazioni della sentenza per l’omicidio di Mimmo Nardelli, ucciso con due colpi di arma da fuoco il 26 maggio 2023 in via Cugini.
Il 23 gennaio scorso Tiziano Nardelli e Paolo Vuto (difesi rispettivamente da Luigi Danucci e Fabrizio Lamanna) sono stati condannati all’ergastolo rispettivamente come mandante e organizzatore della spedizione mortale. Il figlio di Paolo Vuto, Cristian Aldo (assistito dall’avvocato Salvatore Maggio) che quella sera ha materialmente esploso i colpi mortali, è stato invece condannato alla pena di 30 anni, mentre Francesco Vuto (difeso dall’avvocato Andrea Maggio) a 25 anni di reclusione per aver guidato la moto su cui viaggiava il killer.
La Corte, presieduta da Filippo Di Todaro – a latere il giudice Loredana Galasso – in sentenza ha riconosciuto l’aggravante della premeditazione: sul punto, i magistrati hanno spiegato che già 5 giorni prima dell’omicidio «emergeva nitida (dalle conversazioni intercorse tra Paolo e Tiziano) la volontà di risolvere il ‘problema Cosimo Nardelli’ (…) in modo definitivo con l’uccisione dell’uomo che si contrapponeva alle loro mire».
Nel merito del movente economico, per la Corte questo è senza dubbio «l’elemento scatenante del forte contrasto» tra i due fratelli: Tiziano, secondo quanto emerge dalle 161 pagine delle motivazioni, non aveva alcun interesse a sciogliere la cooperativa perché incassava annualmente una fetta che superava il 60 per cento degli utili dell’azienda, Per i magistrati, la vittima non accettava più di ricoprire una posizione marginale nella gestione della coop di famiglia e rivendicava i suoi diritti «che fino a quel punto erano stati esercitati in via esclusiva» da Tiziano. Per questo, come si legge nelle motivazioni, è da escludere l’aggravante del metodo mafioso perché l’omicidio sarebbe maturato proprio in un «crescendo criminale» a causa dei forti contrasti economici tra i due fratelli.
Conflitti, questi, inaspriti anche dalla spedizione di Kasli Ramazan. Difeso dall’avvocato Daniele Lombardi e condannato alla pena di 18 anni con rito abbreviato per il tentato omicidio di Cristian Troia, Ramazan - per l’accusa ma anche per i giudici - era andato in campagna da Cosimo Nardelli «al solo scopo di minacciarlo ed eventualmente anche di ammazzarlo» per scoraggiarlo dallo scioglimento della coop di famiglia.
L’inchiesta sull’omicidio, coordinata dal pubblico ministero Milto De Nozza dell’Antimafia di Lecce e Francesco Sansobrino della procura di Taranto, aveva infatti condotto al gruppo guidato da Paolo Vuto attraverso le intercettazioni ambientali e telefoniche. Stralci di conversazioni che per l’accusa avevano non soltanto spiegato come Tiziano Nardelli e Paolo Vuto avessero affari comuni, ma che tra di loro ci fosse un legame di reciproca opportunità: per Vuto, il supporto economico di Tiziano e per quest’ultimo la “protezione” e l’intervento del primo. Una tesi che anche i giudici della Corte hanno accolto inquadrando il rapporto tra i due come «ben consolidato» e ritenendo Paolo Vuto e Tiziano Nardelli «così vicini negli intenti al punto da dover intervenire sempre uno in aiuto dell’altro», arrivando a cooperare anche nell’eliminazione di Cosimo Nardelli.