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Taranto, chiedevano pizzo ai miticoltori: pene definitive per gli imputati nel blitz «Respect»

 
alessandra cannetiello

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alessandra cannetiello

Taranto, chiedevano pizzo ai miticoltori:  pene definitive per gli imputati nel blitz «Respect»

La Cassazione ha confermato le condanne. L’inchiesta «Respect» era una sorta di secondo atto della inchiesta madre «Piovra», sul racket delle cozze

Martedì 03 Dicembre 2024, 13:49

TARANTO - Si sono spalancate le porte del carcere per Nicola Blasi, tarantino coinvolto nel blitz «Respect» sulle estorsioni ai danni di miticoltori e rivenditori di pesce e frutti di mare di Taranto. La Corte di Cassazione ha infatti reso definitive le condanne nei confronti di Blasi e altri tre imputati: si tratta di Cosimo Blasi condannato definitivamente a 4 anni, Angelo Blasi che dovrà scontare 2 anni e infine Christian Morrone che ha rimediato 1 anno e 6 mesi, ma ha ottenuto la sospensione condizionale della pena.

All’alba del 21 febbraio 2017 furono sei gli arresti effettuati dai carabinieri del Nucleo Investigativo del Reparto Operativo del comando provinciale di Taranto e dai militari della Capitaneria di Porto: in carcere finì anche Massimo Ranieri, l’uomo ritenuto dagli investigatori al centro nevralgico dell’attività illecita e che al termine dei tre gradi di giudizio è stato condannato a 14 anni di carcere.

L’inchiesta «Respect» era una sorta di secondo atto dell’inchiesta madre denominata «Piovra», sul racket delle cozze che aveva portato in carcere Damiano Ranieri. Le nuove indagini si erano concentrate sul figlio di questi, Cosimo, e poi su Massimo Ranieri, fratello di Damiano, che aveva estromesso il nipote dagli affari costituendo un nuovo gruppo del quale, secondo il pubblico ministero Giovanna Cannarile, facevano parte una serie di familiari.

L’inchiesta era stata ribattezzata «Respect» per via dell’indicazione di Ranieri di pretendere il pagamento del «rispetto» dalle vittime. Le attività sono partite dall’ascolto dei colloqui in carcere tra Damiano Ranieri e il figlio Cosimo detto «Cioccolata» e poi dai colloqui che all’epoca della sua detenzione Massimo Ranieri intratteneva coi familiari. La seconda inchiesta, in sostanza, aveva dimostrato come la prima ondata di arresti non sia stata sufficiente a debellare il fenomeno che, al contrario, era stato ereditato dai familiari stretti degli arrestati. Proprio «Cioccolata» avrebbe speso il nome del padre per ottenere denaro dai pescatori: un’eredità scippata dallo zio dopo la scarcerazione di quest’ultimo al punto da aver costretto Cosimo Blasi a sopperire alla mancanza di introiti con lo spaccio di droga tra il quartiere Tamburi e la Città vecchia.

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