TARANTO - Novantasei ore al massimo. Sono il confine che segna il destino dell’equipaggio di un sommergibile sinistrato finito in fondo al mare. Novantasei ore per organizzare e portare a termine una operazione di soccorso così complessa e delicata sono poche, ma fanno la differenza soprattutto quando in ballo c’è il bene più prezioso: le vite dei marinai.
Lo sanno bene i sommergibilisti di tutto il mondo, senza distinzioni di bandiere, di blocchi, di confini, che da qualche anno testano procedure comuni per intervenire con l’«expertise» necessaria e la giusta dose di sangue freddo in condizioni a volte proibitive. Ogni minuto è importante per l’equipaggio rimasto sul fondo del mare. Far presto e bene significa aumentare le «chance» di successo.
Si conclude oggi, nel golfo di Taranto, l’esercitazione di ricerca, soccorso e fuoriuscita da sottomarino sinistrato, denominata «Smerex» 2024 (Submarine Escape Rescue Exercise). L’obiettivo dichiarato dell’attività è di mettere alla prova la catena di allarme e il sistema nazionale di ricerca e soccorso di sommergibili incidentati, applicando le procedure pianificate. Così, in una simulazione molto vicina alla realtà, i militari possono testare l’interazione dei diversi mezzi di soccorso, simulando la risposta ad un’emergenza causata da un sottomarino posato sul fondo per avaria.
A simulare un incidente è toccato al «Primo Longobardo», sommergibile della Marina Militare, mentre nel ruolo di soccorritori ha operato la nave di salvataggio e soccorso Anteo, lo staff del comando sommergibili e il Nucleo di pronto intervento paracadutato «Spag» (Submarine Parachute Assistance Group) del Gruppo Operativo Subacquei di Comsubin, le forze speciali della Marina.
Data l’importanza dell’esercitazione, a cui la Puglia e Taranto ha fatto da sfondo, all’evento hanno partecipato anche quattordici osservatori stranieri provenienti dalle marine di Bulgaria, Egitto, Ecuador, Marocco, Perù, Polonia, Regno Unito, Indonesia e Tunisia. La presenza di osservatori stranieri testimonia l’aumento di sensibilità delle nazioni nei confronti del soccorso ad un sottomarino sinistrato.
Quando scatta l’operazione tutti sanno quello che devono fare. La pancia d’acciaio del sottomarino è adagiata sul fondo del mare ad una profondità di un centinaio di metri. I motori sono spenti e la ventilazione ha autonomia limitata. A bordo una trentina di militari attendono i soccorsi in arrivo dalla nave “madre”, l’Anteo comandata dal capitano di fregata Corrado Rocca. Sono coscienti che l’unico nemico, dopo un’avaria sott’acqua, è il tempo. A bordo, però, nessuno perde la calma. L’esercitazione di salvataggio serve da «stress test» per le procedure dei mezzi come per i nervi degli uomini.
In quanto a tecnologia di soccorso e tecniche di salvataggio della vita umana in mare, la Marina italiana è all’avanguardia al mondo. Tanto che da circa venti anni collabora attivamente con altre nazioni - non solo europee e non solo dell’Alleanza Atlantica -, per mettere a punto sistemi comuni di soccorso. A capo dello «Smer» (Submarine Escape and Rescue) c’è il capitano di vascello Gennaro Vitagliano. «Con il nostro staff internazionale coordiniamo le attività gestendo anche la risposta delle nazioni all’emergenza. Nel team per la gestione dei soccorsi c’è anche il personale sanitario. Individuato il battello e valutate le sue condizioni, la priorità è quella di fornire ossigeno a bordo e poi procedere con le altre operazioni».
Attualmente i sommergibili di tutte le Marine del mondo sono dotati degli stessi sistemi misti di salvataggio (dall’uscita autonoma con tuta, il recupero con minisommergibile e campana Mc Cann), e hanno standardizzato i sistemi di aggancio ai portelli dei sottomarini: l’operazione di soccorso e salvataggio può essere eseguita da qualunque mezzo di qualunque Marina, Nato e non.
In Mar Grande, con la «Smerex» non si testano soltanto i sonar, ma il sangue freddo dei marinai. Si provano in totale sicurezza procedure che devono essere mandate a memoria come l’avemaria per assicurarsi, in caso di problema, che ognuno faccia il suo e sia in grado di farlo.
Come ha spiegato il capitano di vascello Manuel Moreno Minuto, comandante della Flottiglia Sommergibili di Taranto, «l’evento addestrativo ci vede protagonisti una volta anno per mettere a punto tutte le procedure necessarie a tutelare la vita dell’equipaggio di un sommergibile sinistrato».
«Dobbiamo considerare che la riserva di ossigeno a bordo non è infinita. Da quando scatta l’allarme, parte il tempo di un cronometro e quel tempo rappresenta la linea guida delle procedure che determinano la capacità di sopravvivenza dei marinai a bordo. A Taranto alimentiamo, anche nella Scuola Sommergibili, questa cultura del soccorso. Ogni anno organizziamo a terra un corso durante il quale addestriamo ufficiali stranieri e italiani a gestire una complessa operazione di soccorso internazionale e a cooperare dal punto vista tecnico, ma anche a gestire la parte psicologica di un evento così delicato, compreso l’approccio e il sostegno alle famiglie dei militari. Una battaglia contro il tempo per vincere la quale ci teniamo sempre pronti e reattivi in caso di bisogno». Ma per fare questo una esercitazione all’anno non basta. La Scuola Sommergibili di Taranto offre il massimo in tema di tecnologia. Sui simulatori è possibile testare procedure addestrative e di sicurezza che verranno poi ripetute con diversi gradi di difficoltà.