TARANTO - Le rappresentanze sindacali di Fim, Fiom e Uilm di Acciaierie d’Italia annunciano lo stato di agitazione e lo sciopero di 48 ore dei lavoratori dell’area Altoforni a partire da domani, giorno in cui si riunisce l’assemblea di Acciaierie d’Italia. Poi diffidano l'azienda dal fermare l’impianto Afo2 dello stabilimento di Taranto, che sarebbe già in fase di rallentamento della carica.
La decisione arriva dopo che azienda aveva diramato una nota in cui spiegava la necessità di avviare un programma di interventi manutentivi riguardanti diverse aree produttive, con la fermata per sette giorni dell’Altoforno 2. La conseguenza sarebbe il solo utilizzo dell'Altoforno 4, essendo già fermi l’Afo5 e l’Afo1.
L’azienda, spiegano i sindacati, ad oggi non avrebbe fornito «alle rappresentanze dei lavoratori comunicazioni sui futuri assetti produttivi, a partire dalla fermata di agosto dell’Afo1. Infatti, la direzione aziendale comunicò che la fermata di Afo1 era programmata per effettuare il montaggio del filtro Meros della linea D dell’impianto di agglomerato e che sarebbe ripartito a settembre del 2023».
«Ma ciò non è avvenuto e - aggiungono Fim, Fiom e Uilm - troviamo del tutto fuori luogo che si pensi ad una fermata di Afo2 in quanto potrebbero determinarsi situazioni di criticità dal punto di vista della sicurezza dei lavoratori, dal punto di vista ambientale e di salvaguardia degli impianti con la conseguente fermata totale dello stabilimento».
Per le Rsu è «inaccettabile che le organizzazioni sindacali non siano consultate in sede aziendale in merito alle scelte e alle previsioni dell’attività produttiva così come previsto dall’art. 9 del vigente contratto di lavoro». Pertanto, «si riservano ulteriori azioni per consentire il regolare svolgimento delle relazioni industriali».
DOMANI PRESIDIO DAVANTI LA PREFETTURA
Una delegazione dell’Usb domani, alle 10, sarà in presidio davanti alla Prefettura di Taranto, per sottolineare la posizione del sindacato in merito alla vertenza ex Ilva, nella giornata in cui si terrà la nuova assemblea dei soci di Acciaierie d’Italia.
«Si tratta - è detto in una nota - anche di un’iniziativa di solidarietà nei confronti dei lavoratori della Sanac e verrà consegnato al Prefetto un documento relativo alla vertenza, che sintetizza perfettamente l’atteggiamento di assoluta strafottenza da parte di ArcelorMittal che, come Usb dichiara convintamente ormai da anni, non ha alcuna intenzione di investire in Italia».
«Al contrario - conclude l’Unione sindacale di base - sta portando a esaurimento e a chiusura gli stabilimenti, a partire da quello tarantino».
I sindacati: «Il governo estrometta Mittal»
Domani si riunirà «l'assemblea dei soci di Acciaierie d’Italia e - sostengono Fim, Fiom e Uilm - anche questa volta non si conoscono le decisioni che assumerà Invitalia, a nome del Governo. Conosciamo, invece, quelle del socio privato. ArcelorMittal per la terza volta consecutiva, ribadirà di non voler mettere le risorse necessarie per continuare a mantenere in vita l’ex Ilva». Il Governo, insistono le sigle metalmeccaniche, «non può essere ostaggio di ArcelorMittal e deve prendere atto che questa decisione è stata già presa dalla multinazionale nel 2020, quando fu deciso di realizzare un patto parasociale, ancora secretato, con un primo finanziamento pubblico di 400 milioni. A fronte di una persistente situazione fallimentare, a inizio 2023 lo Stato ha versato ulteriori 680 milioni e il socio di maggioranza (ArcelorMittal) zero».
Adesso, puntualizzano, «la situazione è analoga: per poter continuare a far vivere l’ex Ilva occorrono almeno 320 milioni ma, ancora una volta, il socio privato non è disponibile a mettere la sua quota. L’obiettivo di ArcelorMittal è stato chiaro fin dall’inizio: lo Stato deve mettere i soldi e loro li gestiscono». Ma, attaccano Fim, Fiom e Uilm, «la situazione è diventata insostenibile in tutti gli stabilimenti: assenza di relazioni sindacali, industriali, mancanza di intervento alle richieste di normale attività manutentiva e di funzionamento fino alle provocazioni».
A gennaio scorso, rammentano, «il ricatto dei 2.500 lavoratori degli appalti, a luglio a Taranto la fermata dell’altoforno 1 e ora quella dell’altoforno 2, l’inattività aziendale dinnanzi allo stop del principale carroponte di Genova, un disastro - commentano i sindacati - alla vigilia dell’assemblea dei soci usato per condizionare il Governo a mettere ulteriori risorse».
«Come organizzazioni sindacali lanciamo oggi un forte appello al Governo e a tutte le istituzioni affinché si scongiuri la chiusura dell’ex Ilva e si garantisca la continuità produttiva. Il Governo non ha altra scelta: deve estromettere questo Gruppo industriale per inadempienza contrattuale e deve fare una richiesta di risarcimento per gli ingenti danni subìti, reinvestendoli in azienda».
Lo sottolineano le segreterie nazionale di Fim, Fiom e Uilm alla vigilia dell’assemblea dei soci di Acciaierie d’Italia. «Il Governo, con un provvedimento d’urgenza, deve acquisire - aggiungono - la maggioranza e quindi individuare soluzioni industriali, precettando produttori nazionali, affidandogli, transitoriamente, la gestione di Acciaierie d’Italia e il salvataggio dei 20mila lavoratori di tutti gli stabilimenti». In base alle conclusioni dell’assemblea dei soci di domani, annunciano, «siamo pronti a realizzare un presidio permanente al fine di essere ricevuti a Palazzo Chigi, a partire dal prossimo 11 dicembre».
La decisione arriva in un momento di grandi tensioni a livello nazionale. «La scorsa settimana si è aperta l'assemblea dei soci di Acciaierie d’Italia, la società che gestisce una parte importante degli stabilimenti ex Ilva - dice il deputato Pd ed ex Ministro del Lavoro, Andrea Orlando - una società a capitale a maggioranza privata, gli indiani di Arcelor Mittal, con il pubblico in minoranza. Questa assemblea non si è chiusa. A fronte di una disponibilità della parte pubblica di mettere ulteriori risorse pro quota per rilanciare l’azienda e per intervenire sull'ambientalizzazione, la parte indiana si è riservata di non procedere e si è presa del tempo».
Per Orlando «questa cosa dimostra che gli indiani con molta probabilità non hanno intenzione di andare avanti in un progetto di rilancio di Acciaierie d’Italia. Bisognava aspettare così tanto per capirlo? Questa è la domanda fondamentale perché questo Governo aveva sul tavolo, nel momento in cui si è insediato, quasi un miliardo di euro che serviva a dare nuove risorse ad Acciaierie d’Italia, che poteva servire a verificare l'effettiva volontà degli indiani. Questo miliardo è stato messo sul tavolo in verità solo per pagare le bollette. Queste risorse potevano servire anche per aumentare la presenza pubblica nel capitale e quindi riprendere in mano il timone dell’azienda. Invece sono state date come un assegno in bianco».
«Mentre avveniva tutto questo abbiamo saputo che c'era un protocollo in fase di firma con il Ministro Fitto che avrebbe dovuto spostare ulteriori risorse del Pnrr - dichiara Orlando - verso la multinazionale indiana e verso l’ex Ilva. Ora il punto fondamentale è questo: gli indiani vogliono effettivamente rilanciare l’azienda? Tutti i segnali vanno in un’altra direzione. Lo Stato può continuare a stare a guardare senza riprendersi in mano il controllo e consentendo che questa azienda venga progressivamente spenta? Noi pensiamo di no e lo avevamo detto nel momento in cui le risorse di cui abbiamo parlato, e che sono state già trasferite, furono date nel modo in cui abbiamo detto».
«La decisione delle Rsu del sito di Taranto di Acciaierie d’Italia di proclamare da subito lo stato di agitazione e, a partire da domani, 48 ore di sciopero per i lavoratori dell’area altiforni rappresenta in modo inequivocabile il dramma che vivono tutti i lavoratori dell’ex Ilva a ogni livello». Così il segretario generale Uilm, Rocco Palombella. «Non ci saremmo mai aspettati - prosegue - una fine come questa. Gli altiforni sono sempre stati salvaguardati, in ogni circostanza, poiché le fermate oltre a danneggiarli possono determinare un pericolo per tutti. In questo ultimo periodo, invece, gli altiforni vengono fermati per ricattare il Governo e ottenere ulteriori finanziamenti immotivati». Cosa «sta aspettando il Governo - si domanda Palombella - per bloccare la distruzione di un patrimonio impiantistico che rappresenta il cuore dell’attività produttiva? Bene fanno i lavoratori nonostante il lavoro gravoso, a opporsi alla fermata dell’altoforno 2 e a chiedere la ripartenza dell’altoforno 1, fermo da agosto e che sarebbe dovuto ripartire entro settembre». Nonostante «una vertenza lunga oltre 11 anni - conclude - i lavoratori sono rimasti soli a difendere gli impianti e il lavoro. Non hanno perso la speranza di evitare la chiusura totale, che significherebbe distruggere la vita di 20mila famiglie e lasciare interi territori con i loro carichi inquinanti. Bagnoli non ci ha insegnato nulla? Tutti i lavoratori del Gruppo si aspettano dall’assemblea dei soci delle risposte serie e risolutive. Basta ricatti da ArcelorMittal».