TARANTO - Disfunzioni organizzative, mancanza di strutture e personale sanitario, ma nessuna responsabilità penale. È in estrema sintesi quanto accertato dal pubblico ministero Lucia Isceri che ha coordinato la maxi inchiesta dei carabinieri del Nas sulla cosiddetta «seconda ondata» dell’emergenza Covid nella provincia di Taranto tra agosto e dicembre 2020. È raccolto in 37 pagine l’esito degli accertamenti compiuti in questi dai militari dell’Arma dopo le denunce presentate dai rappresentanti di sigle sindacali, uno dei quali presentato dalla «Anaao-Assomed» e dagli esposti di parenti di decine di pazienti ricoverati e deceduti durante la emergenza epidemiologica nei reparti del SS. Annunziata e dell’ospedale Moscati: denunce in cui si indicavano presunte responsabilità della dirigenza Asl nella gestione dell’emergenza evidenziando in particolare la mancata osservanza delle normative «anti-Covid» con conseguenti gravi negligenze che avrebbero in qualche misura causato anche la morte dei pazienti. Per il pm Isceri e per gli investigatori del Nas, però, le indagini hanno permesso di accertare l’assenza di responsabilità penale «trattandosi piuttosto – scrive il pm negli atti d’inchiesta - di disfunzioni organizzative emerse nella gestione della emergenza epidemiologica in ordine alle quali non si ravvisano ipotesi di reato». Gli inquirenti hanno evidenziato come in alcuni casi vi sia certamente stata una «mancata diligenza» tra chi è intervenuto nell'ambito della organizzazione ospedaliera, ma non è possibile contestare illeciti penali per una serie di ragioni.
L’HANDICAP INIZIALE. «La scarsità di risorse umane e materiali – scrive il pm Isceri - non può essere addebitata certamente ai sanitari, cui non compete tal tipo di valutazione» e neppure può essere contestata «ai responsabili della gestione ospedaliera che hanno deciso e attuato gli atti amministrativi di pianificazione regionale e provinciale: la diffusione della pandemia nella c.d. “seconda ondata” ha assunto un ritmo inaspettatamente veloce e, in mancanza di dati oggettivi e certi (legati alla novità del virus e alle scarse conoscenze al riguardo), l'eventuale erronea stima del fabbisogno sanitario non era seriamente e concretamente prevedibile, né evitabile». Per il magistrato inquirente, quindi, non si può ritenere la predisposizione di risorse umane e materiali deficitaria sulla base di una valutazione fatte a posteriori. Oggi, insomma, la valutazione sul numero di posti letti a disposizione, di personale e di strumentazioni è evidentemente da ritenere «inadeguato a fronteggiare l'impennata dei contagi», ma in quei mesi terribili «il management locale e regionale nella pianificazione e nell'allocazione delle risorse sanitarie si è attenuto a criteri ragionevoli e oggettivi». Per chiarirlo, il pm Isceri ha specificato che già prima di gennaio 2020, la Regione Puglia nel piano ospedaliero aveva previsto un numero di posti di letto per la provincia ionica del tutto insufficiente ai reali fabbisogni del territorio: «I Nas – si legge negli atti dell’indagine - sottolineano che già prima della pandemia nella Regione si registra la carenza delle risorse sanitarie» dato che «si prevede che la provincia di Taranto, in relazione al numero di abitanti che sono all'incirca 576.756, dovrebbe avere complessivamente, tra pubblico e privato, 2114 posti letto suddivisi su tre macro aree: Acuti, Riabilitazione e Lungodegenza». Quei numeri, secondo gli specialisti dell’Arma, illustrano «come già la situazione di partenza ante-Covid facesse registrare una netta carenza di posti letto nella Regione Puglia». Insomma dagli accertamenti dei militari «emerge in tutta evidenza la pregressa carenza logistica che costituiva un handicap di partenza con il quale la provincia di Taranto ha dovuto poi affrontare l'emergenza pandemica».
GLI EROI DIMENTICATI. Nella sua richiesta di archiviazione, il pubblico ministero Isceri ha più volte sottolineato come «il personale sanitario ha sicuramente operato in presenza degli indici indicati dalla norma» oppure «con conoscenze scientifiche limitate al momento del fatto, con limitata conoscenza anche in relazione alle terapie appropriate, con scarsità di risorse umane e materiali concretamente disponibili, causata anche dalla endemica e pregressa penuria di tali risorse in ambito sanitario». Nei primi mesi della pandemia, tra gennaio e giugno 2020, l'ospedale Moscati è stato indicato come "hub covid" perché dotato dei principali reparti ospedalieri (malattie infettive, pneumologia e rianimazione/terapia intensiva) ritenuti indispensabili nell'assistenza e cura del paziente contagiato dal coronavirus: fino alla seconda metà di novembre 2020, quindi, tutti i "pazienti covid" dell'intera provincia sono stati trasportati e ricoverati all'ospedale a Nord di Taranto e soltanto a partire dalla prima metà di novembre, con riorganizzazione d'urgenza dalla rete ospedaliera provinciale, il Moscati ha assistito ad una lenta e progressiva diminuzione della «insostenibile pressione sui propri reparti». In quei primi mesi, i pazienti “no covid”, anche quelli oncologici, sono stati trasferiti nelle Case di cura "Villa Verde" e "D'Amore Hospital": i numeri di quella prima ondata, tuttavia, non sono stati preoccupanti e quando la sanità ionica si è ritrovata di fronte all’impennata di contagio, il quadro è diventato critico. Non solo sono stati dichiarati punti Covid anche altre strutture ospedaliere della provincia, anche «stanze, studi medici e ambulatori – si legge nei documenti - sono stati trasformati in sale per pazienti covid». In oltre, quando il numero di posti letto disponibili nei reparti di malattie infettive e pneumologia, è diventato pari a zero, la «Postazione Fissa del 118» dinanzi all’ospedale Moscati è stata ulteriormente incrementata. Questa impostazione organizzativa, tuttavia, secondo gli investigatori «non è stata pianificata in alcun modo», ma è «stata piuttosto il risultato di un impellente e necessario adattamento delle risorse strutturali e del personale sanitario disponibile per fronteggiare l'impennata di contagi e il conseguente massiccio afflusso di pazienti presso il Moscati, venendo a determinarsi una situazione insostenibile (tanto) che lo stesso direttore del 118, Mario Balzanelli, ha segnalato l'impossibilità della gestione da parte del 118, evidenziando la necessità di spostare i pazienti dell'area covid alle competenti unità operative ospedaliere in grado di gestire la condizione patologica acuta manifestata dai pazienti» e «la necessità di attivare presso l'ospedale Moscati una Postazione di Pronto Soccorso in luogo di quella del 118».
IL CORTO CIRCUITO. La ricerca di posti e personale da destinare alle cure dei pazienti contagiati dal Coronavirus, però, ha messo in difficoltà il servizio sanitario destinato ai pazienti «No Covid». e se la Regione Puglia fino ad allora aveva chiesto all’Asl di Taranto di adeguarsi a una serie di misure per fronteggiare l’emergenza, a un certo punto del 2020 la stessa Regione Puglia ha bacchettato l’azienda sanitaria ionica «sulle criticità rilevate nella rete ospedaliera per i pazienti "no-Covid"». In una lettera l’Asl di Taranto ha ricostruito le azioni attuate e sollecitate dalla stessa Regione Puglia spiegando che «gli sforzi diretti a conseguire un'adeguata disponibilità di “posti letto covid”» di conseguenza «hanno generato la indisponibilità di “posti letto no-covid” e determinato quelle criticità sulle quali la stessa Regione Puglia chiede paradossalmente di intervenire». Per la procura e i carabinieri, quindi, quella coperta sempre troppo corta è «il principale ostacolo» della sanità pugliese e tarantina: una «cronica carenza di personale medico e infermieristico, pregressa alla fase pandemica» che «non consente l'eliminazione delle criticità».
POTENZIAMENTO INSUFFICIENTE. Per i militari del Nas, tuttavia, è innegabile che nonostante la confusione dovuta anche alla novità dell’emergenza, nelle strutture sanitarie tarantine vi sia stata «l'implementazione del personale sanitario, la fornitura di attrezzature sanitarie, dispositivi medici e dispositivi di protezione individuali» e anche un incremento delle risorse destinate al Servizio 118 che «tuttavia – scrivono gli inquirenti - non è stata sufficiente a soddisfare completamente le esigenze, spesso rappresentate con proprie istanze anche dal Direttore del 118, Mario Balzanelli». Ma anche su questo il pm Isceri ha chiarito che «non vale affermare che per la c.d. "seconda ondata" del Covid le strutture sanitarie avrebbero dovuto meglio organizzarsi. Troppe le variabili in gioco, tra le quali: l'imprevedibilità del numero dei contagi; la necessità di dover eseguire valutazioni di stima (del fabbisogno dei posti-letto Covid) in assenza di dati validati e consolidati (perché si avevano a disposizione solo i. dati della precedente ondata, evento di per sé eccezionale); la endemica limitatezza delle risorse sanitarie (sia umane che logistiche) e la conseguente necessità di una oculata allocazione di tali risorse in rapporto non solo al Covid, ma anche ad altre specialità mediche indispensabili per assicurare cure e assistenza ai pazienti colpiti da malattie diverse dal Covid».
I MORTI. I numeri raccolti nell’inchiesta raccontano che da marzo a dicembre 2020 i decessi al Moscati per Covid sono stati complessivamente 170: 51 nel reparo di Malattie Infettive, 27 in Pneumologia, 86 in Rianimazione e 6 nel reparto di Medicina Covid. Altri 21 pazienti sono invece deceduti nella postazione fissa del 118. Le indagini su alcune di queste singole morti, partite dalle denunce dei familiari alcuni dei quali assistiti dall’avvocato Pierluigi Morelli, hanno documentato che in diversi casi i pazienti sono stati sistemati in strutture provvisorie che «disponevano di organizzazione e risorse umane e materiali decisamente insufficienti per una risposta adeguata nella somministrazione di cure e terapie». Le attività investigative hanno certificato, però, che il personale sanitario ha predisposto il ricovero nelle strutture provvisorie perché non vi erano posti letto "Covid" disponibili all'interno dell'Ospedale, né altrove. «I sanitari – ha concluso il pubblico ministero» hanno agito in emergenza assicurando cure e assistenza a pazienti e «rispetto al contesto in cui hanno operato, non si ritiene censurabile il loro comportamento e si ritiene, anzi, che abbiano agito garantendo a tali pazienti ulteriori possibilità di sopravvivenza, come di fatto è avvenuto per la maggior parte dei pazienti ivi ricoverati».
LA RICHIESTA DI ARCHIVIAZIONE. Per il pm Isceri, ha evidenziato come la maggior dei pazienti ricoverati «si sono salvati proprio grazie evidentemente alle cure ricevute dai sanitari che hanno operato pur in circostanze critiche e con mezzi, strutture, risorse approntati in modo urgente» e quindi «la scelta dei sanitari che, anziché rifiutare i ricoveri, hanno deciso di operare nelle strutture provvisorie per garantire le migliori cure possibili a pazienti destinati, in caso contrario, a rientrare nelle proprie abitazioni è stata una scelta salvifica, consentita e con esiti statisticamente più che positivi. Ed è per questo che il magistrato ha chiesto l’archiviazione delle accuse: ora la parola spassa ai familiari delle vittime che dovranno decidere se opporsi o meno a questa decisione della Procura.