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Ex Ilva, tempo scaduto per l’«Aia»: Taranto sempre più in ansia

 
Francesco Casula

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Francesco Casula

Ex Ilva, tempo scaduto per l’«Aia»: Taranto sempre più in ansia

Mai fatti gli interventi previsti nell’autorizzazione ambientale: l’inquinamento continua

Giovedì 24 Agosto 2023, 09:45

TARANTO - Il tempo è scaduto, ma le prescrizioni imposte oltre dieci anni fa all’ex Ilva di Taranto non sono state rispettate. Almeno non tutte. Su quelle misure incompiute, nei giorni scorsi il Governo ha firmato un decreto che autorizza le soluzioni alternative e compensative proposte da Acciaierie d’Italia.

A distanza di 11 anni dal sequestro senza facoltà d’uso dell’area a caldo dello stabilimento siderurgico di Taranto, le emissioni nocive della fabbrica non sono state neutralizzate. Quasi 15 decreti «Salva Ilva» emanati dagli Esecutivi che si sono succeduti a Palazzo Chigi da quel 26 luglio 2012, i commissari straordinari, l’affitto della fabbrica, l’ingresso dello Stato nella società, non sono bastati per eseguire tutte le disposizioni che avrebbero dovuto rendere il siderurgico una fabbrica sicura per chi lavora e per chi vive all’ombra di quelle ciminiere.

Tra le misure rimaste incomplete, spicca la mancanza del certificato di prevenzione incendi e poi la bonifica dell’amianto e gli scarichi delle acque meteoriche. Ma non solo. Resta inevasa la misura del miglioramento ambientale dello stabilimento: la gigantesca struttura di copertura dei parchi minerali in cui vengono stoccate le montagne di carbone e ferro non ha cancellato lo spolverio sul quartiere Tamburi. Le polveri continuano quindi a invadere le strade, i balconi e la vita dei tarantini. A questo si aggiunge anche la nuove emergenza benzene: la costante crescita negli ultimi anni di emissioni dell’inquinante cancerogeno, seppur formalmente nei limiti di legge, ha spinto alcuni mesi fa il sindaco Rinaldo Melucci a firmare una nuova ordinanza che impone la chiusura degli impianti entro 60 giorni. Il provvedimento, impugnato da Acciaierie d’Italia, è ora al vaglio del Tar di Lecce che dovrà decidere se confermare o meno la decisione del primo cittadino.

E nel frattempo, in vista della scadenza dell’autorizzazione firmata nel 2011 e riesaminata dopo il maxi sequestro, l’ex Ilva ha già chiesto la concessione di una nuova Aia: l’iter procedurale è partito, ma fino alla sua conclusione la fabbrica potrà continuare a produrre in regime di proroga. Sulla nuova richiesta sono già arrivati i rilievi critici di Arpa Puglia che a giugno scorso, in un documento inviato alla Conferenza dei servizi, ha ribadito che la società «non ha indicato alcun intervento di miglioramento sulle problematiche relative alle frequenti interruzioni di nastri causati da incendi, i quali a loro volta rilasciano emissioni anche di natura polverulenta». Nessun intervento indicato, secondo Arpa, neppure per il processo di produzione di “coke” e una descrizione poco chiara sul recupero di polveri abbattute nei filtri a tessuto “Meros”. Ma soprattutto per passare da 6 a 8 milioni di tonnellate d’acciaio all’anno, AdI ritiene necessario l’utilizzo dell’Altoforno 5: l’impianto più grande d’Europa è però spento dal 2015, è alimentato ancora a carbone e la società nel suo documento «non riporta alcun intervento migliorativo ambientale legato all’uso di combustibili alternativi».

Il co-portavoce nazionale di Europa Verde e deputato di Alleanza Verdi e Sinistra, Angelo Bonelli, è intervenuto dichiarando che «l’Aia risulta attuata sulla carta, ma non lo è nei fatti. Intanto si riunirà la conferenza dei servizi per il rinnovo e i lavori potrebbero andare avanti per anni» e sostenendo che serve «una Valutazione del Danno Sanitario prima di autorizzare alcunché e le procedure di rinnovo devono svolgersi in tempi ragionevoli. Perché - ha concluso Bonelli - se si continua a procrastinare le prescrizioni, la salute, come sempre, sarà calpestata a Taranto».

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