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Taranto, la Vittorio Veneto una bomba ecologica di amianto: indagati otto alti ufficiali

 
Francesco Casula

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Francesco Casula

Taranto, la Vittorio Veneto una bomba ecologica di amianto: indagati otto alti ufficiali

In disarmo dal 2007 è rimasta ormeggiata alla banchina e potrebbe aver prodotto danni irreversibili sulla salute dei tarantini. Respinta la richiesta di archiviazione formulata dalla Procura

Giovedì 12 Gennaio 2023, 13:22

TARANTO - La nave Vittorio Veneto ha rappresentato una bomba ecologica da oltre 1200 chili di amianto che ora rischia di trascinare in un’inchiesta giudiziaria diversi alti ufficiali della Marina militare. È quanto emerge dal provvedimento con cui il gip Benedetto Ruberto ha disposto l’esecuzione di nuove indagini alla procura di Taranto. Sono 8 i nomi di ammiragli e alti ufficiali che secondo il giudice dovranno essere iscritti nel registro degli indagati insieme a quello dell’unico sottufficiale già coinvolto nell’inchiesta: per il gip Ruberto, inoltre, oltre all’accusa di inquinamento ambientale, la procura dovrà valutare anche l’ipotesi di disastro ambientale colposo.

La tesi, in estrema sintesi, è che la nave dopo il disarmo nel 2007, è stata ormeggiata sulla banchina Torpediniere e potrebbe aver generato danni irreversibili alla salute dei tarantini e all’ambiente marino per la dispersione delle fibre di amianto, com’è ormai noto particolarmente cancerogene: un rischio di cui secondo il giudice tutti erano a conoscenza, ma nessuno ha disposto la bonifica dell’ex ammiraglia della Marina fino l’8 giugno 2021, data della partenza verso la Turchia dov’è stata smantellata. Non solo. Secondo il magistrato non sarebbero stati presi neppure i mini accorgimenti per evitare la fuoriuscita delle fibre dallo scafo, ormai ridotto a vera e propria discarica dopo diverse incursioni di vandali che l’avrebbero letteralmente depredata: le ispezioni condotte negli anni, infatti, avrebbero accertato l’apertura di una serie di portelli di ventilazione avrebbero favorito la dispersione di materiale nocivo per la salute «anche a centinaia di metri di distanza» con una prevedibile «compromissione delle matrici ambientali, continuativamente investite». Secondo il gip Ruberto, «la posizione della nave accresceva il rischio di contaminazione: la vicinanza al centro cittadino, l’esposizione alle intemperie, l’azione corrosiva dell’acqua marina, l’accertato stato di apertura dei portelli di ventilazione e la massiccia presenza di amianto (sia all’interno che all’esterno dell’imbarcazione) erano indici sintomatici della concreta situazione di pericolo perfezionatasi ai danni della popolazione tarantina».

L’inchiesta è partita nel 2017 dopo la denuncia di due cittadini, uno dei quali assisti dall’avvocato Ezio Bonanni dell’Osservatorio Nazionale Amianto, sui quali la procura ha avviato una serie di accertamenti: già nel 2019, il pubblico ministero aveva però chiesto l’archiviazione ritenendo che «alla luce delle informazioni acquisite» non si ravvisavano «reati in materia ambientale né di altro genere». Richiesta a cui si sono opposti i denunciati sostenendo che gli inquirenti non avessero svolto in modo completo le indagini. Il gip Ruberto accoglieva questa tesi e nel 2020 disponeva un supplemento di indagini attraverso una consulenza tecnica per verificare la presenza di amianto nella nave, l’eventuale esposizione della popolazione di Taranto e l’ipotesi di contaminazione ambientale con polveri e fibre di amianto della acque marine, del centro abitato e delle sostanze alimentari. Il lavoro dei consulenti consentì di accertare «l’avanzato stato di degrado» in cui versava l’unità navale: materiali e rifiuti accatastati, porte di accesso bloccate, ponti caduti o pericolanti e, più in profondità, locali come la sala macchine e i locali cambusa sommersi «da refluo liquido». Il monitoraggio dell’aprile 2021 aveva documentato la presenza di fibre di amianto in due delle quattro postazioni esterne all’imbarcazione. Per gli esperti «la ventosità del luogo aveva favorito la formazione - all’interno della nave - di microcicli di aria, che inevitabilmente potevano comportare la dispersione aerea di fibre asbestiformi verso l’esterno, le quali, essendo incorruttibili, potevano cumularsi ed essere trasportate anche a diverse centinaia di metri di distanza dal galleggiante». I vertici della Marina in servizio a Taranto sarebbero stati pienamente informati, ma la nave non è mai stata oggetto di un’azione di bonifica che interrompesse quel rischio. Anche per questo il giudice ha rigettato la nuova richiesta di archiviazione della procura e disposto nuovi accertamenti perché si indaghi sull’eventuale livello di contaminazione delle aree cittadine e i danni causati a persone e all’ambiente, ma anche sul ruolo che hanno avuto gli ufficiali della forza armata e le loro eventuali responsabilità.

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