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«Non solo numeri: dietro ci sono famiglie», parlano dipendenti imprese indotto ex Ilva

 
Valentina Castellaneta

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Valentina Castellaneta

«Non solo numeri: dietro ci sono famiglie», parlano dipendenti imprese indotto ex Ilva

Il racconto alla Gazzetta: «Senza di noi gli impianti non potrebbero marciare»

Martedì 15 Novembre 2022, 14:32

TARANTO - «Là dentro siamo matricole, numeri, ma dietro i numeri ci sono delle famiglie» dice Giacomo Mastro, operaio di una ditta dell’indotto di Acciaierie d’Italia, ex Ilva, che si occupa di pulizia industriale dell’agglomerato. Una delle 145 imprese appaltatrici che hanno ricevuto la lettera inviata via Pec da parte di Acciaierie, in cui si chiedeva la sospensione di tutte le attività da lunedì 14 novembre. «Senza di noi gli impianti non potrebbero marciare, la pulizia industriale è una delle ultime attività che dovrebbe essere esclusa, perché fa parte anche dei provvedimenti inclusi nell’Autorizzazione Integrata Ambientale -dice Giacomo. Ci occupiamo della bagnatura delle polveri, della pulizia nastri. Cerchiamo di combattere per il contratto multiservizi, per cui l’operaio prende mille euro al mese, sviluppando i 22 giorni lavorativi e sfruttato al massimo e poi magari, come il sottoscritto, avendo anche un tumore a 37 anni, si ritrova con una malattia». Giacomo ha due figli, la sua è una famiglia monoreddito. «Noi siamo fortunati -dice. L’azienda ha le spalle forti, perché ha cantieri in tutta Italia, quindi con le commesse esterne affronta sempre i pagamenti, altre realtà lavorative tarantine, sono morte. Io mi trovo infortunato in un’azienda dove c’è il dialogo e si cerca ancora di affrontare le difficoltà, ci sono aziende che hanno difficoltà economiche dove un RLS trova difficoltà a fare interventi».

Vincenzo Bottiglione lavora per un’azienda dell’indotto che si occupa di impiantistica elettrica: «non eravamo in cassa integrazione, eravamo a lavoro e la notizia l’abbiamo presa male un po’ tutti perché è una bomba a ciel sereno -dice. La nostra azienda ancora non ci ha comunicato nulla di ufficiale». L’azienda per cui lavora Vincenzo conta una cinquantina di dipendenti, «Siamo 50 famiglie che rimangono a casa, quasi tutte monoreddito» sottolinea. Alla domanda lei come farà, Vincenzo ripete: «attualmente non sappiamo cosa succederà, se da domani non potremo più tornare a lavorare. Nel 2015 eravamo stati messi in libertà con il fallimento dei Riva -ricorda- e ora si sta ripetendo la stessa cosa. Sembra che questi anni siano stati sprecati, per non perdere il nostro posto di lavoro ci dobbiamo rimboccare le maniche, lottare fino alla fine, per non perdere il diritto al lavoro».

Giovanni, operaio in amministrazione straordinaria, racconta che già da sabato la tensione all’interno dello stabilimento era aumentata, «c’è preoccupazione non solo tra gli operai dell’indotto, ma anche tra gli operai diretti, questo aumento improvviso della cassa, mette ansia non solo ai lavoratori e alle famiglie. Tra l’inflazione e giorni in cassa integrazione, i redditi diminuiscono -dice Giovanni preoccupato. Per non parlare dell’aspetto sanitario: le aziende che sono state messe fuori si occupavano per la maggior parte di manutenzione, già quella ordinaria interna lavora al 50%, se si mette fuori anche la manutenzione che fanno le ditte esterne, per noi c’è anche un problema di sicurezza».

Michele Rosso dice che la situazione è drammatica. La sua azienda ha ancora ore di cassa integrazione da erogare «un paio di mesi forse -sottolinea. Dopo di che non sappiamo sinceramente quello che accadrà e non intravediamo spiragli di miglioramento. È dal 2008, 2009 che viviamo questi momenti di incertezza che si riflettono anche sull’ambito familiare -racconta. Bambini, mutui e affitti, oggi il costo della vita è aumentato, il lavoro c’è e non c’è. Sono anni che lavoriamo una settimana su un mese, abbiamo buttato nella spazzatura non la vita di un operaio, ma di tutta la sua famiglia e sono tante le famiglie impiegate nell’appalto. Dovrebbe essere fatto qualcosa di più da parte delle istituzioni».

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