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Per l’operazione «Japan» di Taranto chiesti 150 anni di carcere

 
Francesco Casula

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Francesco Casula

Per l’operazione «Japan» di Taranto chiesti 150 anni di carcere

L’inchiesta antidroga della Dda. La condanna maggiore è per Cosimo Cesario: richiesti 20 anni di reclusione

Martedì 05 Aprile 2022, 10:40

TARANTO - Sono 24 le condanne richieste per gli imputati coinvolti nell’inchiesta antidroga «Japan» che hanno scelto di essere giudicati con rito abbreviato. Pene per circa 154 anni di carcere sono state avanzate dal pubblico ministero Milto De Nozza della direzione distrettuale antimafia di Lecce che ha coordinato l’inchiesta della Squadra mobile di Taranto. La pena maggiore, a 20 anni di carcere, è stata richiesta per Cosimo Cesario detto «Giappone» mentre per il suo braccio destro, Patrizio Pignatelli, il pm ha chiesto una condanna a 12 anni. Giappone, 62enne tarantino difeso dagli avvocati Maggio e Vincenzo Sapia, il cui soprannome ha suggerito il nome al blitz «Japan», secondo l’accusa dopo 16 anni di carcerazione, era tornato in libertà e ripreso il suo posto a capo della presunta associazione dedita al traffico e allo smercio di sostanze stupefacenti che aveva come base principale il Quartiere Paolo VI, e ramificazioni tra Tamburi e Città Vecchia: Cesario, coadiuvato da Patrizio Pignatelli, aveva assunto il comando con compiti di decisione e di pianificazione, di gestione dei contatti con i fornitori delle sostanze stupefacenti e di supervisione delle operazioni per reperire il denaro necessario all’approvvigionamento di ingenti quantitativi di cocaina, eroina e hashish. Anche Pignatelli, 52enne tarantino accusato di estorsione, minacce e armi, difeso dagli avvocati Salvatore Maggio e Fabio Nicola Cervellera, era tornato in libertà dopo una lunga detenzione per una condanna per omicidio, aveva provato a costruirsi una carriera all’interno della «Fipas» società che si occupa del trasporto ambulanze ed era aggiudicataria dell’appalto Asl. Da giugno 2018, Pignatelli, aveva iniziato a farsi strada utilizzando metodi violenti che hanno creato da subito un clima di paura tra volontari e soccorritori.

Il pm De Nozza ha inoltre chiesto una condanna a 20 anni anche per Filippo Sebastio e poi 12 anni per Alessandro Dabbicco, 10 anni per Roberto Mazzuti, 8 anni e 8 mesi per Giuseppe Benefico e Cosimo Simonetti, 8 anni e 4 mesi per Ernesto Latagliata, 6 anni per l’avvocato Francesco Di Pietro accusato di detenzione abusiva di armi, ricettazione e spaccio di droga, 4 anni e 8 mesi per Alessandro Chiulli, Umberto Leone, Vincenzo Masiello, Cosimo Pavese, Giovanni Pedone e Francesco Quarto, 4 anni per Emanuele Capuano, Alberto Cesario e Cristiano Di Pietro, 3 anni e 4 mesi per Elvio Di Pietro, 2 anni e 6 mesi per Luigi Pignatelli, 1 anno e 4 mesi per Raffaele Cesario e Nicola Sebastio e infine 8 mesi per Luciano Pignatelli. Un imputato, invece, ha chiesto la messa alla prova.

Le indagini dei poliziotti avevano permesso di documentare i continui incontri del boss Giappone con i suoi sodali durante i quali il boss si vantava di essere ormai uno dei pochi rimasti ai vertici della criminalità tarantina: «Oramai della malavita siamo rimasti in cinque o sei» diceva e aggiungeva «che come sta la situazione.... basta che andiamo a qualche parte... i cristiani si mettono sugli attenti.... basta una parola e si mettono a disposizione». Cesario era inizialmente sfuggito alla cattura, ma i poliziotti lo scovarono qualche giorno dopo in un appartamento del quartiere Tamburi.

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