TARANTO - «Il mancato accordo? Accettare e sottoscrivere la cassa integrazione straordinaria a quelle condizioni sarebbe stata la maledizione perfetta per i lavoratori». Le Rsu Uilm di Acciaierie d’Italia spiegano le ragioni della trattativa sulla procedura attivata dall’azienda, avviata il 28 marzo per 3mila lavoratori in tutti i siti del gruppo, di cui 2500 a Taranto, e annunciano per mercoledì 13 aprile un’assemblea aperta a tutti i lavoratori in Cigs nel piazzale della direzione. L’appello è chiaramente rivolto anche ai 1600 lavoratori rimasti alle dipendenze di Ilva in As, anch’essi in cassa integrazione straordinaria dall’1 novembre 2018 (perché esclusi dalla graduatoria delle assunzioni di ArcelorMittal), il cui destino è sempre più incerto. L’accordo del 6 settembre 2018, che prevedeva il loro rientro a fine piano, sembra non avere più valore. L’attuale procedura di Cigs durerà un anno, ma Acciaierie d’Italia ha già chiarito che serviranno proroghe fino al 2025 e che il riassorbimento di tutti lavoratori potrà avvenire solo con la risalita produttiva a 8 milioni di tonnellate d’acciaio l’anno. La Uilm dice «sì a legge speciale per Taranto, no assoluto a licenziamenti. Ora occorre procedere spediti verso una campagna di massima informazione e coinvolgimento delle maestranze, per muovere compatti verso le iniziative di tutela collettiva che da qui a breve verranno promosse».
Secondo l’organizzazione sindacale, «una procedura di Cigs, qualunque essa sia, deve recare le basi più elementari della reale ristrutturazione di un’azienda, con un chiaro e puntuale dettaglio sull’occupazione presente e futura; tutto ciò di cui è stata carente la discussione presentata da Acciaierie d’Italia». Ecco perché «fin dal primo momento – si aggiunge - la Uilm si è dichiarata intransigente ed indisponibile a qualsiasi ragionamento su una fantomatica ristrutturazione che, di contro è apparsa come un tentativo maldestro di tagliare al di fuori della fabbrica ulteriori 2500 lavoratori (3000 nel gruppo)».
Da qui l’invito «a tutti i lavoratori all’unità di intenti. Non escluderemo nulla e nessuno, forti delle nostre ragioni legate all’accordo del 2018 mai ridiscusso. Servirà unione - sottolinea la Uilm - e determinazione sia tra le organizzazioni sindacali che tra i lavoratori vittime dell’irresponsabilità di governo e multinazionale; il primo che continua ad annaspare sulla politica industriale legata alla transizione, la seconda che continua ad essere sorda e sbeffeggiante delle piaghe di questa comunità».
Intanto, scoppia una nuova crisi nell’indotto del Siderurgico. L’azienda metalmeccanica Lacaita, secondo fonti sindacali. ha avviato la procedura di licenziamento collettivo per la metà dell’organico, una quarantina di dipendenti. Oggi è in programma un incontro con i sindacati. «Proveremo a vedere - sottolinea Pietro Cantoro della Fim Cisl - se ci sono percorsi alternativi al licenziamento del personale ma la vediamo difficile. Per il 70 per cento del personale oggi sono aperte procedure di cassa integrazione ordinaria. L’aspetto «singolare - annota Cantoro - è che il lavoro per queste imprese non mancherebbe. Molte di loro si sono già aggiudicate commesse che vanno dai ripristini ai rifacimenti impiantistici alle manutenzioni ordinarie e straordinarie. Non possono però cominciare i lavori perché Acciaierie d’Italia non fornisce il benestare finale».
La ditta Lacaita, rammenta Cosimo Amatomaggi della Uilm, «viene già da una situazione pesante. Attualmente il personale è tutto in forza all’azienda, però l’intenzione è di tagliarne metà. Non siamo ovviamente disponibili a fare un accordo sui licenziamenti e chiediamo che si cerchino tutte le alternative possibili con gli ammortizzatori sociali». Per i sindacati, tra annuncio di licenziamenti, cassa integrazione che si sussegue pur cambiando causale, fatture scadute e non pagate, stipendi ai dipendenti corrisposti in ritardo o solo con anticipi, nel pianeta dell’indotto ex Ilva «sembra proprio non essere cambiato nulla». Quanto all’assetto societario, dovrebbe slittare il passaggio in maggioranza di Invitalia previsto per maggio. Questo è l'indirizzo che starebbe prendendo sempre più corpo all'interno del Governo, deciso dunque a non salire più al 60% nella partecipazione in Am Invest.Co, la newco con Arcelor Mittal, ma a restare all'attuale 38%. Non si sarebbero sostanziate le tre condizioni previste dal contratto Arcelor Mittal-Invitalia del dicembre 2020 e il Governo starebbe per questo, ipotizzano fonti vicine al dossier, riscrivendo un nuovo contratto. Non ci sarà però nessun passo indietro da parte dello Stato in Acciaierie d'Italia.