TARANTO - «È salvando che ci si salva». Questo è il motto mutuato da Sant’Agostino che il direttore Mario Balzanelli, presidente nazionale SIS 118, ripete ai suoi collaboratori per motivarli anche dinanzi ad aggressioni e attacchi verbali e fisici. Comincia così la lunga chiacchierata con il direttore Balzanelli che per «Gazzetta» fotografa una situazione a dir poco insostenibile e ne spiega le ragioni.
Proprio la scorsa settimana ancora un caso diretto a ferire il personale delle postazioni mobili del sistema 118.
«Siamo arrivati a venti minuti dalla richiesta di soccorso e abbiamo constatato il decesso. Nonostante le reiterate manovre di intervento non c’è stato più niente da fare, ma i familiari hanno perso il controllo, rispondendo con la violenza».
Il fenomeno dei medici esposti ad accuse e vessazioni non è una novità. Analizziamo i perché.
«È un fenomeno datato che, purtroppo, appartiene all’ordinarietà ma che richiede un intervento istituzionale non più derogabile».
Ma perché scatta l’aggressione?
«Nella mia analisi inquadro tre motivazioni. La prima afferisce ai ritardi e alla dispercezione del tempo, emotivamente condizionata. Non dimentichiamo che negli scenari critici nei quali interveniamo troviamo gente che sta lottando tra la vita e la morte sotto gli occhi dei propri cari. Quel ritardo percepito spesso non sussiste. La seconda ragione riguarda la mancata comprensione delle attività poste in essere dal personale medico, del tempo di azione dell’equipaggio e del tempo di stabilizzazione che finisce con l’essere interpretato male. Ancora una volta l’emotività esplode perché quel tempo, nell’immaginario collettivo, è percepito come tempo perso. Ci si aspetta che il paziente venga trasportato su un’ambulanza, senza valutare il quadro clinico per prevenire l’arresto cardiaco. Sono numerosissimi gli episodi degli equipaggi aggrediti mentre svolgevano il loro dovere, durante gli interventi. L’ultima motivazione concerne la mancanza dei medici e delle ambulanze, carenze che creano una gravissima scopertura delle piante organiche previste per garantire una medicalizzazione minimale tempo-dipendente. La figura del medico non è vicariabile ai fini della diagnosi e della terapia di emergenza, potenzialmente salvavita».
Quali possono essere i rimedi contro le aggressioni ai danni del personale sanitario?
«Ci sono più risposte. Diventano fondamentali le campagne di collaborazione con la cittadinanza che è parte attiva e proattiva nell’attesa del personale medico sul posto. È essenziale, nel frangente in cui il tempo si estende emotivamente stando alla percezione dei pazienti e dei parenti di questi, rimanere in contatto telefonico perché le misure di primo soccorso possano essere dettate dagli operatori, garantendo così l’assistenza necessaria che permetta misure preventive in grado di ribaltare la criticità della situazione o, almeno tenerla sotto controllo sino all’arrivo dell’equipaggio. A Taranto ci lavoriamo strenuamente, investendo ogni due mesi su corsi di formazione nelle zone antistanti gli ipermercati per insegnare manovre salvavita, quale il massaggio cardiaco non interrotto e la disostruzione delle vie aeree nell’adulto, nel bambino e nel lattante. E mi preme sottolineare che il 118 di Taranto è tra i più veloci d’Italia per l’analisi dei tempi allarme target».
Dove è finita la volontà politica? Ha dimenticato il 118?
«Ce lo stiamo chiedendo anche noi. Riteniamo che una riforma legislativa nazionale per cui la SIS 118 si sta battendo a favore della comunità e della valorizzazione e del benessere degli operatori, debba prevedere un numero di mezzi di primo soccorso adeguato e calibrato alle esigenze e ai tempi di percorrenza, ai livelli deliberativi regionali e debba essere inserito nelle programmazioni regionali sanitarie in modo da consentire il raggiungimento di scenari ad elevata capacità critica secondo gli standard temporali definiti dal legislatore. È necessario possedere le ambulanze per raggiungere le criticità in otto minuti in area urbana e in venti minuti in area extraurbana. Chiediamo di aumentare il numero di mezzi a disposizione».
Nel 2005 proprio lei, dottor Balzanelli, si è reso promotore di un’iniziativa legislativa popolare per rendere il primo soccorso parte integrante degli insegnamenti a partire dalla scuola primaria. E poi cosa è accaduto?
«Con l’articolo 1, comma 10 della legge 107 del 2005, abbiamo messo nero su bianco per garantire una formazione salvavita. Negli anni a seguire ci siamo dedicati alla stesura degli indirizzi attuativi, linee guide interministeriali tra Ministro della Salute e Ministro dell’Istruzione, ma ciò che è davvero grave è la mancata attivazione, nonché la gravissima omissione che non rende eseguibile il percorso dell’insegnamento del primo soccorso nella scuola, nonostante un disegno di iniziativa popolare firmato da ben novantatremila persone. In questi anni avremmo potuto salvare molte vite umane, mi creda».
Il tema è attualissimo. È in uscita nel mese di maggio un cortometraggio dedicato scritto e diretto da Cosimo Scarpello, regista che ha interpellato diversi medici, tra cui alcuni dell’Ospedale «Moscati» di Taranto per comprendere gli stati d’animo di chi ha lavorato per contrastare la pandemia, nonostante le accuse e le violenze ingiustificate.