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Taranto, processo «Ambiente svenduto» si attende la sentenza

 
Vittorio Ricapito

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Vittorio Ricapito

Taranto, processo «Ambiente svenduto» si attende la sentenza

Giudici in camera di consiglio da mercoledì sera dopo le 23

Venerdì 21 Maggio 2021, 10:48

Taranto - Da mercoledì sera, dopo le 23, i giudici Stefania D’Errico, Fulvia Misserini e sei giudici popolari sono rinchiusi in camera di consiglio per decidere la sentenza di uno dei più grandi processi per disastro ambientale nella storia d’Italia. Vivono in una bolla, all’interno delle scuole della Marina militare a San Vito dove hanno stanze per dormire, per riunirsi, pranzare e cenare senza avere alcun contatto con l’esterno.

È iniziata l’attesa per il verdetto di primo grado di «Ambiente Svenduto», il maxi processo chiamato a fare piena luce sul presunto disastro ambientale provocato a Taranto dall’Ilva durante la gestione della famiglia Riva (1995-2013). Le repliche dei difensori si sono chiuse a tarda sera mercoledì con l’intervento dell’avvocato Pasquale Annichiarico, difensore di Nicola Riva.

Impossibile fare pronostici sul giorno della sentenza. Due le tesi contrapposte nei quasi sei lunghi anni di dibattimento. Da un lato la procura di Taranto, secondo la quale durante l’intera durata della gestione dell’acciaieria più grande d’Europa, i Riva hanno puntato solo a ottenere il massimo profitto, spremendo al massimo gli impianti, senza interessarsi dell’ambiente e per questo causando un aumento di malattie e morti, come scrisse il gip Patrizia Todisco, che nel lontano luglio 2012 sequestrò gli impianti dello stabilimento tarantino.

E per farlo, sempre stando alla ricostruzione dell’accusa, i Riva misero in piedi con i loro manager e consulenti, una vera e propria associazione a delinquere in grado anche di arrivare agli organi ministeriali di controllo, letteralmente per scriversi da soli i provvedimenti di autorizzazione alla produzione.

Dall’altro lato sono stati impegnati tanti difensori e consulenti dei 44 imputati (e tre società), la cui tesi difensiva è diametralmente opposta: i Riva acquistarono una fabbrica in pessime condizioni e fecero tutto il possibile per migliorarne anche gli aspetti ambientali e le emissioni, investendo 1,2 miliardi di euro. Insomma da un lato richieste di condanna a due cifre, per reati gravissimi: associazione a delinquere, disastro ambientale, avvelenamento di sostanze alimentari, corruzione. Dall’altro richieste di assoluzione perché i reati non sussistono e la fabbrica ha sempre rispettato i limiti emissivi.

I pm hanno chiesto quasi quattro secoli di carcere: 28 anni, la condanna più alta, è stata chiesta per Fabio Riva, l’ex pr Girolamo Archinà e l’ex direttore Luigi Capogrosso, 25 anni per Nicola Riva. Rischia cinque anni di carcere l’ex presidente della Regione Puglia Nichi Vendola, accusato di concussione aggravata in quanto avrebbe esercitato pressioni sull’allora direttore generale di Arpa Puglia, Giorgio Assennato, per il quale a sua volta i pm hanno chiesto un anno per favoreggiamento, per aver taciuto sulle presunte pressioni. Assennato proprio in chiusura di processo ha rinunciato a una prescrizione ormai prossima ribadendo la sua totale innocenza.

Rischiano quattro anni l’ex presidente della Provincia Gianni Florido e l’ex assessore provinciale all’ambiente Michele Conserva, vent’anni l’ex direttore Adolfo Buffo e cinque dirigenti “fiduciari”, 17 anni l’ex presidente di Ilva Bruno Ferrante, e cinque capi area Ilva. I pm hanno chiesto anche la confisca degli impianti e multe per milioni di euro per le tre società dei Riva finite a processo. Ad attendere il verdetto ci sono anche circa mille parti civili, con un conto dei danni che supera i 30 miliardi.

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