TARANTO - «Cala la produzione, coprono i parchi minerali, ma non diminuisce l’inquinamento dell’Ilva di Taranto.I dati delle centraline Arpa/Ispra parlano chiaro e destano scalpore e sconcerto». Lo afferma il presidente di Peacelink Alessandro Marescotti, precisando che nel trimestre marzo-aprile-maggio 2020 rispetto allo stesso periodo del 2019, si è riscontrato un +199% di benzene nello stabilimento e +116% nel rione Tamburi; +81% di PM10 nell’ex Ilva e +18% nel quartiere; +82% di PM2,5 (polveri sottili) nell’acciaieria e +49% sempre nel quartiere a ridosso del Siderurgico.
«I dati - spiega Marescotti - sono stati elaborati con il software Omniscope e provengono dalle centraline Arpa e Ispra. Indicano chiaramente un peggioramento dell’inquinamento sia interno sia esterno alla fabbrica, nonostante il calo della produzione e nonostante la copertura del parco minerali, indice che qualcosa nell’Ilva sta andando storto». L’ambientalista ricorda che «ArcelorMittal nel 2018 prometteva zero polveri ma le polveri sottili (PM10 e PM2,5) aumentano e sono proprio le polveri sottili quelle più pericolose per la salute.
Solo gli IPA (idrocarburi policiclici aromatici) diminuiscono. Ciò che preoccupa è pertanto il trend delle polveri molto sottili (il PM2,5) che evidentemente non provengono dal parco minerali e che quindi non sono trattenute dalla copertura effettuata». Secondo Marescotti, «la novità forse più sconcertante è quella del benzene (C6H6 cancerogeno) che ha raggiunto dei picchi nei giorni scorsi, fino a 63 microgrammi/m3 il 3 giugno in cokeria e 6,5 microgrammi/m3 nel quartiere Tamburi. Per fare un confronto - conclude - la media del quartiere Tamburi degli ultimi tre mesi (marzo-aprile-maggio 2020) era per il benzene 1,68 mcg/m3; ed era stata di 0,78 mcg/m3 per il trimestre corrispondente marzo-aprile-maggio 2019».