«Non vogliamo essere trattati come cavie da laboratorio. E tuttavia va creata una biobanca affinché non si perdano le prove di quanto sta avvenendo in questo drammatico e prolungato esperimento sulla salute di un’intera comunità». E’ la richiesta avanzata dall’associazione ambientalista Peacelink per storicizzare le conseguenze che le emissioni inquinanti dell’ex Ilva provocano sulla salute della popolazione tarantina.
«Chiediamo che venga creata a Taranto - sottolinea il presidente di Peacelink, Alessandro Marescotti - una biobanca (sangue, urine, cordone ombelicale, latte materno, liquido amniotico, capelli, tessuti) che mantenga la traccia di tutto quello che sta avvenendo, a partire dalle donne. Una biobanca che riguardi anche i lavoratori Ilva, a loro tutela».
L’ambientalista commenta il risultati del biomonitoraggio reso noto dall’Istituto superiore di Sanità, svolto in collaborazione con la Asl di Taranto sulle concentrazioni dei vari tipi di diossina nel latte materno, da cui emerge «un aumento di diossine pari al 28% nel latte delle donne che risiedono a Taranto e Statte, rispetto a quelle che abitano in provincia». «Si tratta - sostiene Marescotti - di concentrazioni statisticamente rilevanti. L’Istituto superiore di Sanità ritiene che vi siano basse probabilità di effetti avversi per la salute, ma questa conclusione non ci lascia tranquilli in quanto non si escludono affetti dannosi». «Le donne - rileva - sono esposte anche ad altri inquinanti, ed è risultato che sia stata trovato il naftalene nelle urine in quantità significativa (febbraio 2017) e sarebbe importante sapere dalla Asl se la principale fonte emissiva industriale, ossia la cokeria, sia stata assolta oppure no».
Inoltre, conclude Marescotti, «le analisi sugli allevatori a Taranto indicano che le concentrazioni di diossina nel loro sangue aumentano man mano che ci si avvicina all’area industriale. L’emissione di diossina non è cessata nel 2012 e anzi, dopo un calo iniziale, è ritornata a salire».