di MIMMO MAZZA
Oggi si celebra, in molti Paesi del mondo, la Festa del lavoro o dei lavoratori, evento ispirato da un episodio che avvenne a Chicago (Stati Uniti) il 1° maggio del 1886. Quel giorno, era stato indetto uno sciopero generale in tutti gli Stati Uniti con il quale gli operai rivendicavano migliori e più umane condizioni di lavoro: a metà Ottocento non era raro che i turni arrivassero anche a 16 ore al giorno e i casi di morte sul lavoro erano abbastanza frequenti. Sono passati 132 anni e la situazione del lavoro e dei lavoratori non è migliorata di molto. Le ore di lavoro al giorno da 16 si sono ridotte alla metà ma la loro intensità specifica è cresciuta di parecchio (misurare l'orario di lavoro solo con le lancette di orologio appartiene ad uno schema fordista ormai superato dai fatti e dalla tecnologia) e di lavoro si continua a morire.
Si continua a morire sia durante – come testimoniato dalle 1029 vittime registrate nel 2017 – che dopo l’attività lavorativa, come certificato dagli elevati numeri dei decessi per malattie professionali.
Alla festa del lavoro sono da decenni tradizionalmente affezionati i sindacati confederali (ma non solo: oggi anche la Fnsi terrà un suo momento di riflessione sui problemi dei lavoratori del mondo dell'informazione a Reggio Calabria) il cui peso, però, con l'assalto ai corpi intermedi, è andato via via sempre più affievolendosi, come dimostra il caso Taranto che dal 2013 ha il suo concerto del primo maggio (in netta contrapposizione con il concertone romano organizzato dalla triplice), il suo sindacato (il comitato dei lavoratori Liberi e Pensanti), la sua rappresentanza politica (Massimo Battista, operaio Ilva libero e pensante eletto in Consiglio Comunale un anno fa nella lista del Movimento 5 Stelle), il suo leader (l'attore Michele Riondino) e la sua piattaforma rivendicativa che sarà presentata stamattina alla presenza, tra gli altri, del governatore Michele Emiliano e dei cinque parlamentari grillini eletti a Taranto e provincia lo scorso 5 marzo, prima del grande concerto con un cast artistico di assoluto livello.
Taranto, d'altronde, dall'estate del 2012, quando furono arrestati proprietari e dirigenti dell'Ilva e ci fu il sequestro degli impianti dell'area a caldo, sospettati di avere emissioni fonte di malattie e morte per operai e cittadini, è l'emblema di un sistema industriale arrivato al capolinea e di relazioni industriali da riformulare radicalmente. Con i suoi 110mila disoccupati e con 55 giovani su 100 in cerca di occupazione, Taranto e la sua provincia ora si trova alle prese con un passaggio delicatissimo, con la trattativa per la cessione del complesso siderurgico dall'amministrazione straordinaria (il commissariamento di Stato imposto nel giugno del 2013 alla famiglia Riva è poi diventato commissariamento giudiziario con la consegna dei libri contabili al tribunale di Milano dove, nel frattempo, è cresciuta una massa passiva alta quasi 3 miliardi di euro di debiti) ad Am InvestCo, società formata da Arcelor Mittal e Gruppo Marcegaglia.
Divenuto pubblico con una banale visura – e dunque non si capisce perché pervicacemente negato per mesi dal Mise a Regione Puglia e Comune di Taranto – il contratto di vendita sottoscritto dal Governo con Am InvestCo si sta palesando in tutta la sua indigeribilità. Nelle 94 pagine sottoscritte nello studio notarile vengono sostanzialmente poste tre condizioni per rendere effettivo l'accordo (via libera al piano ambientale, fatto; via libera dall'Antitrust europeo, quasi fatto; accordo sindacale, tutto da fare) e soprattutto emerge un numero, quello dei 10000 dipendenti complessivi nella vigenza del piano industriale, che potrebbero scendere a 8500 tra cinque anni. Numeri assai esigui non solo, e non soltanto, per giustificare la presenza di un impianto così impattante dal punto di vista ambientale (non che, invece, ad esempio 20.000 dipendenti valgano la salute di 200.000 abitanti, sia chiaro) ma anche e soprattutto per dare risposte ai 110mila tarantini che un lavoro non ce l'hanno e che, almeno su questo sarà difficile raccogliere voci discordanti, certamente una occupazione non la troveranno sotto i camini dell'acciaieria più grande d'Europa.