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Cercando Buddha sui Monti Dauni: nella terra delle lupare bianche e della Quarta mafia un luogo mistico di pace ed emozioni

 
Carmela Formicola e Rosanna Volpe

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Carmela Formicola e Rosanna Volpe

Cercando Buddha sui Monti Dauni: nella terra delle lupare bianche e della Quarta mafia un luogo mistico di pace ed emozioni

Incontro con i monaci Lobsang e Bumther nel Monastero della Pace di San Marco La Catola

Mercoledì 18 Giugno 2025, 12:04

Il filo di lana gira per tre volte intorno al polso accompagnato da una preghiera appena sussurrata. Un suggello di amicizia prima ancora che religioso. Nella stanza dedicata alla preghiera, poco importa che tu sia cattolico, islamico o protestante: le porte sono aperte e le mani sono giunte in segno di accoglienza. Lobsang Soepa e Bumther Tsering sono due monaci tibetani. Vengono da molto lontano: il Tibet lo hanno abbandonato da tempo. Da quando il governo cinese ha introdotto un’ampia repressione della cultura e della religione tibetana, con il risultato che molti monaci sono stati soggetti a persecuzioni, restrizioni e arresti. In molti hanno trovato rifugio in India prima e in Europa poi.

Qualcuno scappava in India attraverso le montagne, 15mila dollari per un passaporto americano e poi via, via, senza mai voltarsi, lasciando amaramente la propria terra nelle grinfie dei cinesi. Il passato, il presente: le storie finiscono tutte con l’assomigliarsi. Come i luoghi, l’aria, l’acqua, il paesaggio. «Odori di muschio e corteccia e fronde e fango, tutti ululanti misteriosi brandelli di visione sotto i miei occhi, eppure tranquilli e infiniti, gli alberi folti sui pendii, i guizzi di luce solare. Quando alzavo gli occhi le nuvole assumevano, al pari di me, volti di eremiti». È Jack Kerouac, I vagabondi del Dharma , uno dei più iconici riferimenti al grande immaginario buddhista. E questa vasta vallata verde appartiene ai Monti Dauni, perché è qui, in questo lembo remoto di mondo che incontriamo Lobsang Soepa e Bumther Tseringm, qui dove «il suono del silenzio è ovunque e perciò tutto dovunque è silenzio» (ancora Kerouac).

Ad accoglierci, in un antico e glorioso palazzo di pietra, Marisa Burns, italo americana, che ha incontrato Soepa e Tsering in Italia e con loro ha vissuto nella Capitale fino a qualche mese fa quando ha deciso di fondare in Puglia la sede di Tso Pema (che in tibetano significa Lago di Fior di Loto), Studi di Buddhismo Tibetano di Roma. Così a San Marco la Catola, in provincia di Foggia sui monti della Daunia, è nato il Monastero della Pace Tibetano, di tradizione mahayana.

Nella terra della lupara bianca e della Quarta mafia, il Monastero accoglie corsi e ritiri di filosofia, psicologia e meditazione, tenuti da Maestri buddhisti che trasmettono gli insegnamenti orali di Buddha Shakyamuni. Mai luogo avrebbe potuto essere più metaforico. «Qui ospitiamo – spiega Burns – anche chi è semplicemente interessato a conoscere i vari argomenti, oppure praticanti buddhisti e studenti, principianti o avanzati. Sono benvenute tutte le persone che vogliono seguire un corso o un ritiro o che, desiderino trascorrere un periodo di tranquillità, in un luogo pacifico che favorisce la ricerca interiore e offre la possibilità di sviluppare le potenzialità umane di gentilezza amorevole, compassione e saggezza, insite in ciascuno di noi».

Uno spazio aperto a tutti, quindi, che ha lo scopo di stimolare una riflessione sull’importanza della scelta della vita contemplativa e monastica e sull’opportunità di crescita interiore e sociale della «persona» e delle «comunità». Un luogo intensamente mistico dove pure, in passato si sono accesi i riflettori per la presenza di Francesco Grassi che raccontava di poter guarire le donne con il sesso. Il guru, un ex istruttore di equitazione e meditazione originario di Martina Franca, dopo un incidente stradale in giovane età e un viaggio in India fatto prima del 2017, rinacque con il nome di Shivananda: «Nel mio corpo si è incarnata un’altra anima», assicurava. Giovani e meno giovani, madri e figlie, casalinghe e lavoratrici, popolavano questa comunità Ashram sino a qualche mese fa. Prima cioè che la filosofia tibetana spazzasse via il finto santone che un bel giorno ha dovuto fare le valigie e scomparire in tutta fretta, per ragioni ben intuibili. Ma ad esempio i francescani di un convento a una manciata di chilometri da qui non lo hanno ancora capito. «Di fronte – racconta Marisa Burns - c’è un monastero di frati. Non li abbiamo ancora incontrati perché credono che qui ci sia ancora lui, il guru. Ma con il tempo capiranno che questo è ora un luogo di preghiera e di meditazione». Equivoci possibili, se la cultura arranca.

Difatti il messaggio buddhista, mai come in queste folli stagioni, si conferma potente ed attualissimo. «Il Buddhismo – illustrano con intensità Lobsang Soepa e Bumther Tsering - intende da sempre contribuire al messaggio di pace e armonia universale. È nei Monasteri che il Dharma, l’insegnamento del Buddha, viene effettivamente preservato e diffuso dedicandosi allo studio della mente, per renderla serena ed equilibrata e a servizio dell’intera società».

Il silenzio nelle stanze del Monastero è scandito dal fruscio del vento e dal canto degli uccellini: «Qui non abbiamo la televisione. Ogni giorno tutti noi veniamo inquinati da messaggi negati: di guerra e di violenza. E la violenza genera violenza. Siamo noi, invece, a dover guidare le nostre emozioni. Per questo serve un metodo: eliminare la cultura dell’io». C’è un lungo viale alberato che accompagna sino al maestroso palazzo diventato Monastero. Una scritta in tibetano ricorda che le priorità sono il corpo, la parola e la mente. Tre parole messe vicine perché una non dimentichi l’altra. Le due bandiere, quella tibetana e quella buddista, sventolano accompagnate dal vento fresco garantito dall’altitudine: quasi settecento metri sul livello del mare. Non l’Himalaya certo, ma ogni picco ha il suo incanto. I monaci accudiscono la terra, fiori e piante, perché per i buddisti la vita è un bene che va rispettato, accolto e amato. Lo hanno capito molti pugliesi che nelle prossime settimane saranno qui per trascorrere con i monaci giornate lontane dalla frenesia urbana, alla ricerca di una spiritualità che sembra perduta ma che in questo luogo sembra non più così tanto lontana.

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