Sabato 06 Settembre 2025 | 02:44

Sotto l’ombra angosciante delle ciminiere dell’acciaieria, ancora si spara e si muore

 
giuse alemanno

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giuse alemanno

Sparatoria a Taranto, poliziotti accerchiati dalla folla al loro arrivo al quartiere Tamburi: la denuncia

Se fossimo capaci di maggiore attenzione, però, ci accorgeremmo maggiormente di ciò che ci circonda

Domenica 20 Luglio 2025, 13:09

Il proiettile esce dalla canna di una pistola alla velocità di circa 350 metri al secondo. L’energia cinetica conferisce al piombo una tale forza d’impatto da provocare, al bersaglio colpito, danni terribili. Se questo bersaglio è un essere umano, può anche morire. Come è successo a Carmelo Nigro, l’altra notte, nei pressi delle “Case Parcheggio” del quartiere Tamburi. Ancora si spara e si muore, a Taranto. La città che sta provando ad aggregarsi intorno alle proprie istituzioni, appena elette, per fronteggiare i tentativi prevaricatori di un governo che tutela solo gli interessi di una ristrettissima cerchia di industriali dell’acciaio, si trova costretta a confrontarsi con la violenza omicida che nasce dalle fasce fragili della sua popolazione.

Lo spaccio di droga è una fonte di reddito importante per chi ha nel suo passato, nel suo presente e nel suo futuro, solo disperazione di cui – sovente – non ha nemmeno coscienza. Difendere la propria piazza di spaccio equivale a difendere il proprio pane quotidiano. Sporco, maledetto e infame, certo, ma può essere l’unico pane raggiungibile per chi ha fatto della violenza un valore.

Se fossimo capaci di maggiore attenzione, però, ci accorgeremmo maggiormente di ciò che ci circonda. I ragazzi di tutte le estrazioni conoscono a memoria canzoni come “Maresciallo non ci prendi” di Nico Pandetta, 82 milioni di visualizzazioni su Youtube. Un frammento del testo: «Un’ora, sei stipendi; sono con la mia fam’ dentro al club, coca e rum. Compro tre appartamenti, pago in pezzi da venti. È tutto total black…». Non delude un fenomeno come Gaetano Cordaro che in “Tute di Armani” canta: «Ragazzini cresciuti in fretta, colpa di una Beretta che fa bang – bang – bang». E i ragazzi citati non sono solo quelli per male, sono – semplicemente - quasi tutti. Nessun rampollo di buona famiglia è escluso. Ciò che si vede nei videoclip di questi artisti è il malessere che affiora. Che si palesa appena. Che racconta ciò che è già consolidato e certo non lo ispira. Ma chi ha mostrato perfettamente ciò che sta succedendo è un regista dell’altro mondo. È sudcoreano e si chiama Bong Joon Ho e, nel 2019, licenzia “Parasite”, un film che vincerà quattro premi Oscar. Le conseguenze della lotta di classe, delle diseguaglianze sociali e delle dinamiche di potere tra ricchi e poveri offrono uno sguardo spietato sulla società attuale: dalle periferie paranoiche di Seul, alla marginalizzazione sociale delle “Case Parcheggio” del quartiere Tamburi di Taranto dove, sotto l’ombra angosciante delle ciminiere dell’acciaieria, ancora si spara e si muore.

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