Se con lui non era un pezzo di Eldorado, la nostra città, poco ci mancava. Di certo ci sentivamo tutti in un posto magico, a Zemanlandia, e gli ingredienti per sognare c’erano tutti. Come nella favola di Cenerentola. Da una piccola squadra ai trionfi in serie A, dai successi alle cadute, dal tifo allegro e contagioso (ancora pulito e non aggressivo) a lacrime, sangue, polvere e sudore, perché, come nelle favole, per arrivare a baciare un principe molta strada si deve fare. E lungo è stato il percorso che dal 1986 è arrivato fino a quasi i nostri giorni, al 2021, quando il ‘principe’ in questione è tornato ad allenare i “satanelli” dopo decenni dal suo addio alla panchina dello “Zaccheria”. Lui, Zdnek Zeman, è divenuto nel tempo un mito nell’immaginario collettivo foggiano, al punto che questo ininterrotto feeling è stato suggellato di recente con il conferimento della cittadinanza onoraria.
La cronaca di questi giorni ci strappa – speriamo solo per un po’ – alla favola che tutti abbiamo vissuto, e ci fa stare con il fiato sospeso: il tecnico è in prognosi riservata, e il bollettino medico ci dice che non si sa se potrà ritornare a parlare. Continuiamo a sognare con e per lui sia per quel che concerne la ripresa fisica, che ci auguriamo possa avvenire presto, sia perché questo grande allenatore schivo ma pieno di entusiasmo ci ha dato ben più di una lezione, da quella tecnica, con il suo schema visionario di calcio audace e veloce, a quella esistenziale.
Quando non c’erano campi disponibili, faceva allenare i suoi ragazzi nel parcheggio antistante lo stadio. Modi spicci e senso pratico; addominali, reali e metaforici, a pancia in giù, profilo basso e tanto, tanto sudore, come si conviene ai veri sportivi. Qualche scaramuccia quando i big che ci portarono in A andarono su più verdi campi nazionali ci fu, e resta un brutto marchio quel “Zeman vai”, poi sostituito, come nei bisticci tra innamorati, da una scritta sulla sua panchina: “Scusa Zeman”. Con lui Foggia divenne attrazionale nazionale e sono molte le generazioni che ha fatto innamorare del calcio, portando allo stadio, potenza del fenomeno, anche ragazzine e donne, le più accese nella tifoseria. “Quel poco che so della morale l’ho appreso sui campi di calcio, la mia vera Università”, amava dire lo scrittore francese Camus che si sentiva allenatore e portiere prim’ancora che letterato. Anche noi abbiamo appreso tanto, e da una città che ha un imperituro motto, “Forza Fò”, giunga oggi un “Forza Zeman”.