Il dopocena estivo di comitiva, dalle parti nostre, comincia a mezzanotte circa. Ci si alza da tavola in condizioni psicomotorie sconnesse. L’esigenza di dormire diventa, allora, l’unico approdo possibile. Però basta una musica baraonda in lontananza per stimolare il frìzzolo piripicchio del solito bambascione iperattivo. Ogni cena estiva ne comprende almeno uno, immancabile al pari del tuono dopo il lampo. Lo zumpananà di turno non perde mai l’occasione di scaraventare il resto della compagnia in qualche situazione ansiogena, forte della sua dinamicità smilza. Manco fosse il comparuzzo del pifferaio di Hamelin, guida il gruppo degli amici topoloni, rimbambito dal cibo e dalle bevute, verso la fonte dei suoni tunz-tunz, in ossequio al dogma meridionale: ‘Dopo cena si abballa’. Raggiunta la fonte della musica, presto si presenta la delusione: manco fossero in una parata militare coreana, area Kim Jong-un, plotoni di donzelle dai vari e improbabili compleanni, disegnano con passi arabeschi traiettorie sorprendenti, frutto dei ritmi di bachata, merengue, salsa, rumba e cha cha cha, occupando tutta la pista. Restano solo gli spazi per le figuracce per chi non è addentro ai segreti delle mossette dei balli latino americani. Il briciolo di dignità rimasto, così, diventa salvante: si manda il trottolino in un luogo molto frequentato, con preghiera di restarci, e si passa all’abitudine conclamata, tormento d’ogni digestione, per chiudere le serate: ‘Andiamo a bere qualcosa’.
Da poco sono incappato in una situazione simile. All’una ero nel centro storico di una simpatica cittadina quasi di mare della nostra provincia, con altri amici. Le stranezze sono iniziate subito: i tavoli esterni dei bar e dei locali di somministrazione alimentare erano vuoti. Prendiamo posto, ordiniamo e veniamo serviti con riluttanza. Eppure in quel locale eravamo stati altre volte e mai era accaduta una situazione simile. Il locale deserto e l’evidente negatività dei gestori diedero il via alla curiosità. Chiesi al cameriere che portava controvoglia i drink, sottolineando le assenze: “Ma che è successo?”. “L’ordinanza”, fu la risposta. “Alle due il bar deve essere lavato, pulito e chiuso, con tutti i tavoli dentro. È l’una e mezzo e voi state ancora qua.” Tale rivelazione smorzò ogni allegria. Consumammo in fretta ciò che avevamo chiesto e andammo via. I mugugni si sprecarono. Poi, come se non bastasse, il solito fringuellone esternò la riflessione del secolo: “Mica si può tenere la gente in giro nei bar e nei locali per tutta la notte! E se nel centro storico ci fosse una persona sofferente? Anziani con le loro abitudini? Lavoratori che devo alzarsi all’ora in cui noi siamo ancora in giro a ridere e scherzare? Serve rispetto per tutti! L’ordinanza di chiusura è giusta!”. Tutti lo abbiamo rimandato, in coro, nel luogo molto frequentato che sapete. Anche un bambascione, però, può dire cose giuste. È raro, però succede.