G7, sigla infelice. Sembra una chiamata di «Battaglia navale»: G7, colpito e affondato. In una epoca caratterizzata da belligeranze, sarebbe stata più idonea una sintesi migliore. È vero che il punto d’origine è catramoso: si tratta di definire l’incontro del gruppo intergovernativo informale che riunisce le principali sette economie dei Paesi avanzati. Ma in un così esclusivo rassemblement, ne sono certo, non mancano teste gloriose. Figuriamoci. A guardar le foto, finiscono le incertezze. Quindi poteva essere auspicabile il confezionamento di una sigla che andasse oltre il rimando ad un gioco di guerra. Soprattutto a Borgo Egnazia, in provincia di Brindisi, in Puglia, regione meridionale d’Italia. Perché la nostra Costituzione lo stabilisce in modo inequivocabile nell’articolo 11: «L’Italia ripudia la guerra». Non «rinunzia», come aveva ipotizzato da Giuseppe Dossetti. I Padri Costituzionalisti preferirono l’uso del verbo «ripudiare», perché nella radice di tale verbo poteva riconoscersi «pudor»: provare vergogna. L’Assemblea Costituente non poteva dimenticare quello che era accaduto in Italia tra il 1922 e il 1945; la verecondia diventò conseguenza. Ma il richiamo alla pace arriva anche dal pontefice Francesco I. Sono sempre alte le parole che i papi spendono a favore della pace. Diciamo che, nel tempo, hanno sviluppato una sorta di professionalità. Sono espressioni che diventano coscienza critica dei rappresentanti delle ricche economie mondiali. Il Papa ricorda che non c’è solo l’economia a trascinare il mondo (sovente in un abisso) ma ci sono anche valori indispensabili di civiltà ed il comportamento morale degli uomini nei confronti del bene e del male. L’invocazione al disarmo contenuta nell’enciclica «Pacem in terris» di S.S. Giovanni XXIII è emblematica: «…venga arrestata la corsa agli armamenti, si riducano simultaneamente gli armamenti già esistenti; si mettano al bando le armi nucleari … ». L’enciclica è del 1963; dopo più di 60 anni, le parole di Giovanni XXIII urlano di modernità. Quanto quelle di S.S. Paolo VI che, nella sua «Populorum progressio», del 1967, spiega nettamente: «Oggi, il fatto di maggior rilievo, del quale ognuno dovrebbe prendere coscienza, è che la questione sociale ha acquistato dimensione mondiale». Non la guerra, non gli affari legati allo sfruttamento di vecchie e nuove fonti energetiche, non gli interessi di un ristrettissimo numero di privilegiati. Ma c’è una speranza ed è riposta nel Primitivo di Manduria. Dopo un paio di bottiglie di un buon 16°, nemmeno a Napoleone verrebbe voglia di battagliare. Il Primitivo, da sempre, è viatico di pensieri di pace. Perché pure il G7 soccombe di fronte al nettare messapico: colpito e affondato. La strada della pace, quindi, è nei bicchieri di Primitivo. Mettete una vigna nei vostri cannoni. Ad alberello, magari.

La sigla rimanda a un gioco di guerra
Domenica 16 Giugno 2024, 06:31