«Sono deciso a riuscir scellerato, in odio a questa stagione troppo allegra» dal Riccardo III di William Shakespeare. Così il monarca inglese rancoroso e instabile, definisce il suo progetto d’azione. La parabola discendente di Riccardo III, che regnò davvero tra il 1483 e il 1485, è usata da Shakespeare per sottolineare quanto sia labile il confine tra potere e follia. La massa di macchinazioni del re inglese per conquistare il comando - e la nemesi conseguente - dovrebbe essere interpretata come eterno monito per chi, a causa del destino o per elezione, dovesse raggiungere livelli massimi.
Scaltrezza e ambizione sfrenata sono ingredienti adatti solo per chi è spinto alla ricerca di dominio per rivalsa, per pareggiare esclusioni sociali patite. Quell’astio nutrito nei confronti di chiunque impedisca di raggiungere scopi voluti, alimenta scorciatoie paludose; e quelle pulsioni dirette a subordinare tutto a volontà spietata e senza limiti, sono prodromi tempeste maligne . Infine, però, anche Riccardo III si ritroverà inesorabilmente solo perché, nonostante abbia vinto su tutti i suoi nemici e tradito tutti i suoi amici, non sarà in grado di superare l’avversario peggiore: se stesso. Riccardo III è una maschera eterna, che si riflette nella contemporaneità. La sua ambizione malata è quella dell’uomo moderno, accecato dalle luci del potere e prigioniero della sua stessa cupidigia: quello che Shakespeare, con un incipit leggendario, chiamerà «l’inverno del nostro scontento».
Ma Riccardo III, monumentale paradigma di re folle, non è l’unico: altri ce ne consegna la Storia antica: da Tiberio a Caligola, da Nerone a Claudio. Quella moderna … non ne parliamo! Oltre ai re e agli imperatori c’è anche una fauna ambigua, poco definibile: è quella dei piccoli monarchi, quelli che allignano anche nei nostri territori. Non indossano una solenne tunica praetexta e sul loro capo non si poggia una corona d’oro tempestata di pietre preziose, però l’effetto che il potere ha su di loro è simile a quello raccontato da Tacito e Tito Livio. Ma Shakespeare, come sempre, è insuperabile nella sua capacità di sintesi: «l’erba gramigna cresce in un momento; ma meno in fretta cresce il buon frumento». Riccardo III, re d’Inghilterra, ha ben presente questo, ciononostante preferisce le perfidie che lo condurranno a perdersi. Per i nostri potenziali «Gloucester» resta, malinconico, solo un suggerimento: fermatevi per tempo. È meglio.