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Ascoltiamo quel silenzio differente delle scarpette rosse per dire «no» alla violenza

 
Luisa Ruggio

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Luisa Ruggio

Ascoltiamo quel silenzio differente delle scarpette rosse per dire «no» alla violenza

Fra tutte quelle esposte in questi giorni, colpiscono quelle sul palco del Centro per persone con disabilità a Monteroni di Lecce

Domenica 26 Novembre 2023, 12:17

Da quasi novant’anni, mia nonna rispetta un minuto di silenzio più di una volta al giorno, la vita che ha vissuto glielo impone, così come il secolo che ha attraversato cercando di lasciarci qualcosa di meglio. Non fu mandata a scuola, dovette lavorare, con l’esiguo stipendio da governante contribuiva alle spese di una famiglia favolosa che contava ben altre sette sorelle. Entrambe le mie nonne, avevano sette sorelle alle quali sono sopravvissute.

A entrambe fu imposto un marito scelto secondo i criteri di un’epoca la cui ombra si è allungata sino ai giorni nostri, malgrado le lotte a tutela dei diritti delle donne. Se avessero potuto, avrebbero studiato e intrapreso la carriera politica, entrambe animate da un fuoco che le ha tenute in piedi malgrado tutto. Sono diventate madri di uomini che hanno viziato concedendo loro tutto quello che i loro padri gli avevano negato, perdonando gli incontentabili, chiudendo gli occhi davanti alle piccole viltà che nella vita quotidiana si erano abituate a pulire con lo strofinaccio.

Quanto non detto, obbedienza, paura passata sotto lo strofinaccio che ho rifiutato di ereditare, che ho lasciato cadere insieme a svariati luoghi comuni e retorica a posteriori costruita su anni di sangue trasformati in belle parole, slogan, opinioni. La prima volta che ho visto delle scarpette rosse, le indossava Dorothy nelle illustrazioni di un libro che smaschera il patriarcato e il matriarcato attraverso le avventure di una bambina e dei suoi compagni di viaggio talmente bizzarri che nella realtà sarebbero considerati persone con disabilità, per via di un difetto di sentimento, pensiero e spirito.

E non è forse quel che manca a ognuno di noi quando rinunciamo a riconoscere che possiamo fare una rivoluzione se la nostra vita è ogni giorno, pur nel suo piccolo, un atto politico? A chi altri demandare questa presa di coscienza se non a noi stessi? Quando ho visto delle vere scarpe rosse col tacco alto, le indossava mia madre, ricordo che le chiesi se da grande avrei potuto calzarle anch’io. Non avrei mai immaginato che nel tempo sarebbero diventate un simbolo legato a storie di irreversibile violenza. E fra tutte quelle esposte in questi giorni amari e senza risposte, mi colpiscono quelle sul palco del Centro per persone con disabilità a Monteroni di Lecce, forse perché questi giovani uomini e donne col loro silenzio rumoroso assomigliano ai personaggi del romanzo di Baum, ma a differenza di tutti noi non si nascondono mai dietro i loro mostri.

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